domenica 25 settembre 2011

il terrorismo psichiatrico di Vittorino Andreoli

Vediamo come in questa puntata di Elisir:

(a partire da 1 ora e 6 minuti)

lo psichiatra Vittorino Andreoli parla degli attacchi di panico, diffondendo, a mio avviso, un vero e proprio terrorismo psicologico. Preciso il significato che attribuirò a ciò che avviene nella trasmissione. Non voglio dire naturalmente che prima si siano messi d’accordo per propagandare i farmaci e scoraggiare ogni terapia psicologica.
E’ l’andamento comune di Elisir e di tutte le trasmissioni che finiscono con l’essere direttamente una cassa di risonanza di Big Pharma, e che quindi chiamano, per esempio, sempre psichiatri, mai (dico proprio mai!) psicologi, sempre medici “ufficiali”, che non mettono in discussione i vaccini, la chemioterapia, sempre entusiasti dei metodi cosiddetti “nuovi”, quasi moderni futuristi sulla pelle però dei pazienti, naturalmente.

L’esempio qui fornito da Andreoli è straordinario. In sintesi, egli dice che dagli attacchi di panico non si guarisce, anzi, ha detto che da tutti i problemi psichiatrici non si guarisce.
Ergo, poiché per lui quello che vale per gli attacchi di panico vale anche per depressione, ossessioni, compulsioni, ecc. e siccome da questo o da quello prima o poi veniamo colpiti tutti, anche nella forma più blanda, per Andreoli sempre di malattia psichiatrica si tratta, e poiché da queste non si guarisce, per quest’ultimo siamo in sostanza tutti malati mentali.
Non esclusi però gli psichiatri, che sono la prima sottocategoria professionale che si suicida, prima sottocategoria della categoria professionale tra tutte che già di per sé è in testa ai suicidi:


o anche qui, dove però non si specifica degli psichiatri.


Ma andiamo a cosa ha detto concretamente degli attacchi di panico.
Ne ha parlato, come è solito sentirli parlare sull’argomento, come di qualcosa che può colpire chiunque di noi, in qualunque momento della vita, e dal quale non c’è alcun modo di difendersi. Ha sorvolato il più possibile sul fatto che in alcuni “si presenta una sola volta”, in altri qualche volta, magari a lunghe distanze, così da non divenire “malattia”, mentre ha sguazzato e si è sbrodolato nella descrizione di tutti coloro che finiscono nelle loro mani. Per Andreoli esistono solo i suoi pazienti, che come lui stesso ha detto, praticamente, non guariscono mai, che non riescono mai a uscirne, e devono prendere psicofarmaci per tutta la vita.
Quindi, secondo Vittorino Andreoli:
1)    L’attacco di panico è di per sé una malattia psichiatrica, quindi fa l’equazione tout court: attacco di panico = malato di mente, fingendo di ignorare, perché non credo che possa ignorarlo, quale sofferenza e sconvolgimento interiore possa provocare in chi ha gli attacchi di panico, che si trova così assurdamente equiparato agli schizofrenici,  ai deliranti, ai paranoici, ecc. (sorvoliamo su altre osservazioni che avremmo da fare anche in merito a queste altre categorie…)
2)    Prima o poi rende tutti invalidanti, in particolare depressi, quindi doppiamente malati mentali, dal suo punto di vista
3)    Si può curare solo coi farmaci che bisogna prendere per tutta la vita
4)    Non si può fare niente per migliorare la loro situazione. Andreoli ignora bellamente decenni di ricerche e di pratica clinica di psicoterapia strategica, cognitivista, umanistica e psicodinamica, insomma ignora tutto ciò che ha da dire la psicologia al riguardo.
5)    Altra perla: gli psicofarmaci per l’ansia e la depressione, non darebbero effetti collaterali!

E adesso andiamo a dire cose diverse.
Il fatto che in alcuni gli attacchi di panico, con quegli stessi sintomi, si presentino una volta o 2, e poi non più, e in altri invece possano diventare un grande problema, non dimostra che i primi siano super-uomini, e neppure che la forza-intensità degli attacchi nei primi sia minore che nei secondi, ma dimostra che la paura è fortemente influenzata dal modo di interpretare quello che ci succede, i nostri sintomi fisiologici e le reazioni-emozioni a essi collegate, interpretazione che avviene in molti altri fenomeni, compresi quelli positivi, così come per esempio il fenomeno del colpo di fulmine, perché è anche vero, almeno in parte, come dicevano Cannon e Board, che “non piangiamo perché siamo tristi, ma piangiamo perché siamo tristi”. Ovvero che non solo le nostre cognizioni influiscono sulle nostre emozioni, ma sono anche le nostre percezioni, reazioni ed emozioni, ad influire sulle nostre cognizioni, e più di quanto non crediamo.
Così come in tutte le cose anche in questa la natura non fa salti, e dunque non si può stabilire un confine preciso tra quelli che riescono a non sviluppare alcuna paura degli attacchi di panico, quelli che ne sviluppano un po’ ma poi riescono a superarla, quelli che per vari periodi riescono a vincerli ma in altri momenti non ce la fanno, e quelli che purtroppo si trovano ad avere la vita completamente invalidata dagli attacchi di panico. In realtà anche tra questi ultimi si possono verificare le cosiddette guarigioni, anche dopo decenni di psicofarmaci e l’essere stati convinti da psichiatri come Andreoli di essere malati. Certo questo può avvenire solo con un cambiamento di paradigma: dal “sono un malato” a à “non sono malato”, dal “devo prendere farmaci per tutta la vita” a à ne sarò completamente uscito solo quando potrò fare del tutto a meno anche degli psicofarmaci.
Ricordo qui però che con gli psicofarmaci, proprio in quanto droghe, non si può e non si deve giocare, e una volta che li si prende si devono diminuire e infine dismettere solo sotto prescrizione medica. Ovviamente prescrizione che non potrà mai esserci se uno pensa come Andreoli.
Ma concludiamo. Così come il carattere e la personalità di ognuno di noi sono molto vari e reagiamo in mille modi diversi anche alla paura, al panico, varie sono anche le possibilità in ognuno di noi di fortificarci e di acquisire delle capacità che altri magari posseggono già di per sé. Questo è per l’appunto il buon lavoro che dovrebbero riuscire a fare i buoni psicologi. Se le persone non riescono a star meglio non è perché siano troppo malate, ma perché è lo psicologo che non riesce/non è capace di aiutarli. D’altra parte, è vero che anche il miglior psicologo del mondo avrà sempre una quota di drop out (pazienti che abbandonano prima della fine della terapia) o dei pazienti che con lui/lei non migliorano (a prescindere dal problema/disturbo), ma è meglio accettare di non riuscire qualche volta anziché partire con l’idea che tanto sono tutti malati e non potranno guarire mai, certo tanto semplice per lo psichiatra quanto rovinosa per i pazienti.
Andreoli non ha detto assolutamente nulla delle reazioni delle famiglie, degli amici, agli attacchi di panico, e delle dinamiche che questi attacchi di panico innestano nelle famiglie, nelle coppie, ecc., di come queste dinamiche siano fondamentali nell’instaurazione, nel mantenimento, come anche nel risolversi degli attacchi di panico.
Preferisco evitare il termine guarigione in quanto non ritengo gli attacchi di panico una malattia, né mentale né fisica, e non ritengo perciò chi ne soffre un malato.
Questo non per minimizzare la loro sofferenza, ma per rimarcare la possibilità di uscirne e anche, cosa molto importante da un punto di vista emotivo, per sottolineare come un problema anche talvolta invalidante come questo, dovuto all’ansia, alla paura e al panico, non abbia però nulla a che fare con la malattia mentale come viene genericamente intesa, e cioè come sinonimo di pazzia, follia, incapacità di intendere e di volere.
E’ vero che in molti panicanti poi compare depressione, ma appunto per l’incapacità di curarli e per la sistematica psichiatrizzazione che ne viene fatta, come in questo caso. Dagli attacchi di panico si può uscire, se non ci si fa convincere di essere malati a vita.

Ma leggiamo cosa viene detto nella trasmissione, a partire da 1 ora e il sesto minuto:

-         Mirabella: professore, lei è psichiatra, e rivolgere la domanda a lei è obbligatorio: trattasi proprio del terreno suo o no?
-         Sì sì.

E già qui Andreoli non adombra neppure che se ne occupino e che se ne possano occupare anche gli psicologi, e che spesso non c’è quindi bisogno di arrivare agli psichiatri. Non dice neanche, naturalmente, che molti riescono a superarli senza né psichiatri e né psicologi. Ma di questo non c’è da stupirsi, perché, ovviamente, dagli psichiatri ci finiscono o tutti quelli che direttamente si rivolgono agli psichiatri bypassando ogni psicologo, o quelli che pure con la loro buona volontà hanno incontrato psicologi che non sono stati minimamente in grado di aiutarli.
Egli non specifica che ci sono molte tecniche e training psicologici per superarli, ma soprattutto, con questa equazione tout court finisce con lo stabilire l’equivalenza tra attacco di panico e malattia psichiatrica (anche perché più volte ripeterà che non si guarisce, che bisogna prendere farmaci per tutta la vita, ecc.), rischiando d’ingenerare veramente paure terrificanti negli ascoltatori che si vedranno in tal modo assimilati ai “matti” …

-         Che cos’è un attacco di panico, e come si manifesta?
-         Innanzi tutto è panico, non paura (…) Il panico è proprio una sensazione in cui uno non riesce a mettere in atto dei meccanismi di difesa. Accade improvvisamente. C’è un signore in auto, sta andando in un luogo per un lavoro abituale, è sereno, si è alzato il mattino senza notare niente di particolare, insomma ha ripetuto delle liturgie, senza che questo segnasse niente, sta andando, arriva ad un semaforo, ed è preso, improvvisamente, da una sensazione di fine, avverte la mancanza persino di aria, sente una costrizione che spesso richiama le patologie cardiache acute, e sente che sta per morire. L’attacco di panico è, potremmo dire, una prova di morte (…)

In realtà, dalle ricerche di Nardone, emerge che le più grandi paure dei panicanti sono due: di morire e di impazzire/perdere il controllo.

-         ...Lui chiede aiuto, fermato a un semaforo, si butta sul
-         Mirabella: sul marciapiede?
-         No no, si butta in macchina, sullo sterzo, e chiede aiuto. Il traffico si blocca… e questa è una storia vera… chiamano il pronto soccorso, arriva l’ambulanza, nel giro di dieci minuti arriva al pronto soccorso dell’ospedale. Non ha più niente. Racconta che ha avuto una condizione acutissima di morte, che però adesso va meglio. Al pronto soccorso poiché dice i sintomi lo valutano, non c’è nulla, che almeno ad una valutazione immediata, che possa indirizzare a dei disturbi, quindi, generalmente, ritorna a lavorare (…)
A questo punto però si potrebbe dire che ha avuto un attacco di panico, ma questa si chiama, la dizione giusta è: malattia da attacchi di panico, perché tutto non finisce qui. Lui sta bene, ma potrebbe dopo un certo periodo, 20 giorni, un mese, potrebbe riavere un altro episodio, un altro attacco di panico. E quindi cominciano a essere due. E qui, la cosa si complica, perché si aggiunge agli attacchi che lui ha in qualche modo subito e verso cui non può fare niente se non chiedere aiuto, ma sentirsi proprio finito, comincia a nascere la paura che gli venga un altro attacco di panico.

Già qui entriamo nel cuore della propaganda psichiatrica. Andreoli parla del caso peggiore. Ovvero di uno che ha improvvisamente un attacco di panico così forte che non può fare a meno di ricorrere al pronto soccorso.
Naturalmente, il fatto stesso di essersi rivolto al pronto soccorso amplificherà nella sua mente la portata/gravità dell’evento. E già qui, ci sono persone che dopo non ne hanno più, o che imparano a non rivolgersi subito al pronto soccorso, che apprendono che dopo alcuni minuti tutto ritorna alla normalità…
Invece, Andreoli parla solo di quello che ce l’ha subito fortissimo, che si rivolge subito al pronto soccorso, che poi ne ha un altro, e poi sicuramente ne avrà altri ancora, tanto che poi precisa… si parla di malattia.
Non dice neanche, ma anche questo sarebbe opinabile, che può definirsi malattia solo quando s’innesca un meccanismo per cui la persona si ritiene del tutto impotente rispetto al panico, cosa che oltretutto è quanto mai resa più probabile da trasmissioni e psichatri come questi, dove Andreoli non farà per tutto il tempo che sottovalutare le capacità di superamento da parte delle persone-non-ancora-pazienti, dimentica o finge di dimenticare tutti quelli che hanno un solo attacco di panico nella loro vita, ma soprattutto dimentica le possibilità di imparare a gestire, superare e vincere gradualmente gli attacchi di panico, sottolineando invece, rimarcando e insistendo solo sugli psicofarmaci, arrivando deliberatamente a suggerire a una paziente che l’unico modo è prenderli per tutta la vita. Ma continuiamo a sentire queste amenità:

-         (…) Allora lei vede perché si parla di malattia, perché ci sono degli attacchi, degli episodi acuti, in più si aggiunge un elemento di continuità che è la paura che questo succeda. E la paura fa sì come dire: “Oddio, adesso mi viene. E questi pazienti, malati, ecco… malattia,

Anche qui, è proprio necessario definire tutto malattia, solo perché una cosa si ripete, basta questo per definirla malattia? Naturalmente la definizione di malattia psichiatrica non fa che aggravare le cose e dunque indurre una paura ancora maggiore, perché uno già spaventato può pensare: se mi succede sono matto à quindi non mi deve succedere à quindi mi succede.

-         Mirabella: accelerano?
-         No, ma poi non escono, hanno bisogno, chiedono di essere accompagnati, qualsiasi piccolo segnale lo interpretano come l’inizio di un attacco, e quindi finisce per essere una malattia gravissima…
-         Mirabella: Invalidante!
-         Dal punto di vista sociale significa…

Tutto ciò è vero, ma, ripeto, loro citano tutti questi casi più gravi come se fossero l’unico esito, l’unica modalità in cui si presentano, e non se ne vanno,
gli attacchi di panico. In realtà i modi di cercare di superare, gestire, evitare gli attacchi sono variegati, e spesso combinano, in modi e in fasi diverse, queste fenomeni di cui Andreoli parla: ricorrere ad aiuti esterni, non uscire di casa, controllare le proprie sensazioni esterne, ma fortunatamente non tutti e non sempre arrivano ad esserne così invalidati, mentre lo schema proposto da Andreoli è, più o meno:

può succedere a tutti à se ti succede una prima volta ti succederà molto probabilmente anche una seconda volta à a questo punto si instaurerà il meccanismo della paura anticipatoria, tu non potrai fare nulla in alcun modo à dovrai prendere psicofarmaci per tutta la vita

-         Qual è l’origine?
-         Ma dunque, e qui ci sono diversi tipi di interpretazione. Certamente, c’è anche il fattore biologico, perché, lei capisce qui, tutto d’un tratto, è come se scattasse qualche cosa. Ora, noi sappiamo che esiste nel nostro sistema nervoso centrale, un circuito, dei nuclei, che sono quelli che regolano il circuito della paura, che regolano cioè, se noi andiamo a stimolare una struttura che si chiama amigdala, (…) se noi andiamo a stimolarla, noi attiviamo la paura.

Qui abbiamo il solito giochetto retorico degli psichiatri. Fa molto scienza parlare dei “correlati neurofisiologici”, o del “fattore biologico”, fingendo di dimenticare che questo avviene in ogni manifestazione della nostra vita.
Quando abbiamo fame e ci mettiamo a mangiare entrano in moto dei sensori che ci avvisano che stiamo mangiando e che placano la nostra fame ancor prima di digerire il cibo. Quando semplicemente chiudiamo gli occhi le nostre onde cerebrali passano da uno stato beta a uno stato alfa, mentre già la vista di una persona aggressiva attiva il nostro sistema “simpatico” di attacco e fuga, idem se baciamo un’altra persona: ciò mette in moto i circuiti del piacere, della dopamina, e così via.
Parlare invece solo del fattore biologico, e alla fine metterlo in cima a tutto come vedremo anche Andreoli farà, è questo tipico modo di pensare che porta automaticamente a dimenticare, e soprattutto e far dimenticare e far ignorare il peso che in tutto ciò hanno:

-         la sensibilità della persona
-         la reazione delle persone che la circondano, il significato che questo e gli altri attribuiscono al primo, al secondo, agli altri eventuali attacchi di panico
-         i vari modi di reagire
-         il contesto familiare, di lavoro, sociale, relazionale, in cui questi attacchi si inseriscono e gli eventuali cambiamenti che innescano

Ma proseguiamo con Elisir:

-         Dov’è l’amigdala?
-         Questa è la zona. (…)
-         Se noi andiamo a stimolare lì…  magari mettendo… con l’elettricità….
-         Non voglio pensarci, perché bisogna arrivarci?
-         No, ma si può, si può, perché ci sono proprio delle pipettine, non lo si fa, si fa negli animali, adesso difficilmente… ma insomma facendolo lì si può scatenare la crisi di panico…
-         E lo credo… un chiodo in testa!

Mirabella rivela con una battuta un buon senso infinitamente superiore a quello di molti vivisettori, ahimé. Naturalmente, il provocare gli attacchi di panico negli animali con questi sistemi, ha la stessa utilità che provocare il cancro negli animali, ed è frutto dello stesso pregiudizio allopatico-meccanicistico-antiolistico. L’organismo animale sarà in condizioni completamente diverse da quelle dell’essere umano, non solo per le differenze fisiologiche e psicologiche tra gli uomini e gli altri animali, ma anche perché le aspettative, le emozioni, le motivazioni e le reazioni, fisiologiche e psicologiche di un essere umano ipoteticamente chiuso in gabbia e mantenuto in vita solo per essere torturato sarebbero diverse dalle aspettative/emozioni/reazioni di un essere umano chiuso in gabbia e torturato.
Dirò di più: sarebbero diverse anche da essere umano ad essere umano, pur essendo tra di loro molto più simili che certamente un essere umano rispetto a un animale.
Non immaginiamo neanche quali e quante diverse variabili contano in ogni tipo di problema/disturbo/malattia/ fisico e psicologico in un animale e ancor più in un uomo che per sua fortuna non è soltanto e da sempre chiuso in gabbia per essere torturato, come gli animali da vivisezione, a parte alcuni che vengono rapiti, ceduti da strutture che “si occupano” di animali, ecc.
Aggiungiamo a tutto ciò la cosa più importante: nella maggior parte dei casi, ma secondo me in quasi tutti, sia problemi psicologici (che io non definisco malattie), sia vere e proprie malattie fisiche come il cancro, sono provocati, innestati, mantenuti e aggravati da situazioni ambientali, o fisiche.
Pensiamo per le malattie fisiche ai banali esempi dell’amianto, il radom, la diossina, il mercurio, polveri sottili, il fumo, l’alcool, sostanze radioattive ecc.
Per i problemi psicologici pensiamo al mobing, alla povertà, alla disoccupazione, all’ansia di dover essere sempre i primi, alla paura di non poter mantenere i figli, alle difficoltà relazionali, coi familiari, di coppia, coi colleghi, ecc.
Spero che mi perdonerete questo apparente banalizzante dualismo: naturalmente non mi sfugge affatto che così come l’inquinamento e tutto ciò che danneggia il fisico investe anche la psiche, e viceversa, che tutto ciò colpisce la nostra serenità deprime il sistema immunitario, come la neuroendocrinoimmunologia rivela.

-         Allora, primo elemento, è certamente la biologia.
-         Mirabella: Oooohhh

Come volevasi dimostrare: la biologia non è più solo un elemento, ma: il primo elemento. Così presentato, diventa primo in due sensi: per importanza e come causa fondamentale, per qualità e quantità.

-         Però, però vede, il problema è questo: se fosse qualche cosa di biologico, dovrebbe essere anche qualche cosa di più stabile, mentre qui, uno non ha mai avuto niente, se non quella volta.

Infatti, sei tu che non riesci a spiegare tutto col razionalismo cartesiano e con l’ossessione del controllo di tutto, come ti ostini a fare.

-         Mirabella: Può succedere a chiunque, facciamo tutti i debiti scongiuri.

Caro Mirabella: hai poco da scongiurare dopo aver invitato Mirabella

-         Succede a tutti, può succedere a tutti.
-         Mirabella: Da un momento all’altro. Pam, primo attacco, e può essere l’ultimo anche, nel senso che poi non ne ha più?
-         Certo, però di solito si ripete. Altri fattori ovviamente, sono fattori noi diciamo di natura inconscia, perché molti dei nostri comportamenti non abbiamo coscienza di essere quella mattina sottoposti… (qui s’interrompe per intervento di mirabella, probabilmente voleva dire sottoposti a qualche stress, tensione, ansia)

Significativo che scongiura sistematicamente tutte le possibilità di speranza che, anche solo per un banale buon senso, Mirabella propone:

-         Mirabella: Da un momento all’altro. Pam, primo attacco, e può essere l’ultimo anche, nel senso che poi non ne ha più?
-         Certo, però di solito si ripete.

Per tutta la puntata, e in particolare su questo argomento non viene mai citato, in alcun modo, la psicologia, la psiche, la psicoterapia.
Tutto ciò che non è farmaco, come in questo caso, viene accuratamente evitato

-         Mirabella: Perché  di fronte alla paura uno può reagire
-         Io mi posso difendere!
-         Mirabella: c’è il coraggio!
-         Per esempio, se la paura è di una cosa concreta, per esempio se è fuori di me, allora, uno, posso dire, non so, ho paura ad attraversare la strada…
-         Uno si munisce di coraggio, per dominare la paura…
-         Ma anche mette in atto delle tecniche… se uno ha paura di essere aggredito cerca di…La paura esterna è quella che dominiamo meglio. E’ la paura interna, dentro di noi, tra cui quella, inconsapevole o inconscia, che può scatenarsi anche se noi non ne abbiamo coscienza…
-         Mirabella: io che ho paura degli stupidi
-         Eh sì, purtroppo ce ne sono molti…

A chi lo dici! Anche qui è emblematico come Andreoli insista in modo ossessivo sull’impossibilità di gestire in alcun modo gli attacchi di panico. Non solo, ovviamente, il primo o il secondo, ma neppure quelli successivi, con l’aiuto di (validi) psicologici o psicoterapeuti: di fronte agli attacchi di panico non c’è nulla da fare.
Eppure lui stesso ha parlato di un’ansia anticipatoria, che sicuramente peggiora il quadro. Quella almeno non è panico, quindi, almeno su quella si potrebbe e dovrebbe lavorare, no? No secondo Andreoli neppure su questa. Perché è una paura interna, dentro di noi, che può scatenarsi anche se noi non ne abbiamo coscienza…
quindi anche qui il concetto pur psicologico di inconscio viene usato nell’accezione peggiore, ovvero come qualcosa contro cui non si può far nulla e che ci rende alla fine succubi della nostra malvagia interiorità.
E ch’aggia fa? Niente! Ma per fortuna che c’è Big Pharma!

-           Mirabella: Vediamo un caso, vediamo come ha raccontato questa vicenda a Patrizia Schisa un comico piuttosto noto, Dario Vergassola, vittima anche lui di questo disturbo, vediamo insieme.

A questo punto c’è uno spassoso pezzo con Verdone nella trasmissione “Parla con me” in cui si parla di Lexotan, di Seroxat, di Oxazepam, Serpax, che però inserita in questo contesto diventa un megaspot per i farmaci, e dove Vergassola fa per giunta ingenuamente confusione con gli infarti per cui altro terrore che viene aggiunto al terrore… poi la Schisa parla dell’ennesima associazione di automutuoaiuto:

-           Schisa: c’è una lega italiana che si occupa dei disturbi d’ansia e le sue varie forme e organizzano dei gruppi di auto aiuto. Crede in questo tipo di terapia Vergassola?
-           Vergassola: ci credo perché chi è un po’ chiuso, e pensa di essere malato, secondo me, prima di cominciare a pensare un anno chiuso in casa che è malato di mente, che sta male, che poi fa degli atti inconsulti oppure chissà perché o cosa succede…fa bene ad andare in un gruppo a sentire anche altra gente che fa dei lavori normali completamente diversi, però campano tranquillamente (…) Però volevo dire una cosa, che siccome l’ansia porta anche alla depressione, bisogna stare molto all’occhio, stare molto attenti.

A questo punto mi sorge la domanda: chi finanzierà mai questa associazione di cui, guarda caso, si parla in Elisir? Faccio una breve ricerca e scopro questa interessante lettera di questa interessante associazione: Psicodissea, in cui si denuncia/evidenzia il finanziamento rilevante che questa lega riceve proprio da una casa farmaceutica:


Giustamente, Psicodissea scrive a questa associazione una lettera aperta proprio in merito a questo, che vi segnaliamo:


Comunque Vergassola continua:
-         “Bisogna riuscire a prendere delle gocce, goccette, ecc., controllate naturalmente, non bisogna fare un fai da te al bar”.

Vedremo poi come costoro “controllano”: talvolta controllano solo che non vengano dismessi per tutta la vita.

Quindi, tra le affermazioni di Verdone e Vergassola, dette in piena buonafede e ingenuamente, e Andreoli, il peggiore, e quello che al contrario avrebbe dovuto dare dei motivi di speranza, anziché di disperazione, vediamo a che risultato porta tutto ciò, così montato e assemblato:

gli attacchi di panico sono problemi psichiatrici à possono accadere a tutti
à se ti succede una prima volta ti succederà molto probabilmente anche una seconda volta à a questo punto si instaurerà il meccanismo della paura anticipatoria, tu non potrai fare nulla in alcun modo àà non potranno guarire mai, ma solo controllare possono avere a che fare anche con l’infarto, con la depressione, e peggio ancora
à si dovranno prendere psicofarmaci per tutta la vita

-         Schisa: è meglio resistere o lasciarsi andare?
-         Vergassola: È meglio fare un po’ di resistenza se ci ha la capacità di capire cosa sta succedendo, io ho cercato di mollar subito perché sono pavido..
(…)

Anche qui il povero Vergassola, così come prima e dopo anche Mirabella, dice le uniche cose che si sentano nella trasmissione che possano indurre alla speranza: c’è chi riesce a fare un po’ di resistenza, o comunque  a gestirli e a superarli, anche se il termine resistenza è di per se’ un termine negativo che fa pensare a qualcosa inevitabilmente destinato a soccombere.

Ridendo la Schisa rimarca nuovamente che dopo un primo attacco ce ne sarà per forza un secondo…

-         Schisa: Il primo attacco di panico è come il primo amore?
-         Vergassola: Non si scorda mai
-         Schisa: No, fino al secondo però… (ridendo)
-         (…) Fino al secondo, però il primo rimane sempre così

Riprendendo in studio Andreoli dice:

-         Ha aggiunto una cosa importantissima, che è la depressione. Perché quando c’è il ripetersi di questi attacchi e uno non si sente più insicuro nemmeno di uscire di casa, avverte una sensazione, di non essere più in grado di affrontare la vita ordinaria, la vita sociale, e quindi di non esser più capace di vivere.

Naturalmente, se uno va da uno psichiatra, e quello gli dice che è un malato psichiatrico, che non potrà mai guarire, che dovrà prendere farmaci per tutta la vita, la depressione certo che gli viene… e aimé viene anche se prima di arrivare dallo psichiatra è passato da vari psicologi che non l’hanno aiutato per niente e magari gli hanno derubato capitali…

-         Mirabella: Ma la casistica, annovera diciamo così, la qualità degli individui diciamo passabilmente, possibilmente soggetti alle crisi di panico? Cioè, lei è in grado di dire, questo prima o poi la sviluppa, la crisi di attacchi di panico…  (…)
-         Andreoli: Guardi è veramente difficile perché vede, qui si è parlato molto dell’ansia, si è parlato della solitudine, tutti termini precisi, è stato veramente bravo, però tutto questo è molto generico, cioè fa parte di molti altri quadri psichiatrici…

anche qui, ulteriore psichiatrizzazione dell’ansia in quanto tale, della solitudine in quanto tale, perché non dunque anche dei rapporti di coppia, dell’appetito, del desiderio sessuale, della volontà di vincere, della passione per il modellismo piuttosto che per il deltaplano o per gli scacchi?

-         Andreoli: Quello che è sicuro è che esiste una percentuale alta di persone che ammalano da attacchi di panico, e che prima non hanno avuto nessuna storia psichiatrica.

Interessante che qui toglie persino il si riflessivo. Non dice si ammalano: persino il si riflessivo, indice di una entità che ha una volontà e una personalità, scompare.
Non c’è più l’essere umano che si ammala, c’è una macchina che va in panne, un motore che fonde.

-         E quindi, può essere proprio un attacco a ciel sereno. Quello che a noi sembra interessante tra virgolette e che proprio siano implicati i meccanismi della paura. Perché noi siamo pieni di paura. E anzi questo momento storico, in cui esiste una paura, una insicurezza incredibile, insicurezza individuale insicurezza nelle relazioni (…) Per esempio si è visto da una ricerca recente che l’adulto per esempio ha la paura di perdere il proprio status sociale (…)
Si pensa che fare qualcosa di nuovo possa essere considerato negativamente.
La paura è un grosso capitolo. (…)

Naturalmente, e tu la stai diffondendo benissimo, caro Vittorino!
Certo, non ti può mai venire in mente che proprio perché questa società diffonde tanta paura essa dovrebbe essere almeno smorzata da chi dovrebbe dare ragioni di speranza anziché di disperazione? E non ti viene in mente che, evidentemente, se c’è tutta questa paura, tutta questa insicurezza, le ragioni psicologiche, e le ragioni dovute all’ambiente, non abbiano un ruolo rilevante negli attacchi di panico?
E se così è, come tu stesso alla fine almeno in parte riconosci, non ti viene in mente che è l’intera società ammalata, piena di paura, di angoscia, di ansia, e che quindi drogare di farmaci una persona perché è in una società così malata vuol dire rendere la società (e le persone) sempre più malate e drogate, anziché più sane ed equilibrate?
Non ti viene in mente che così, anche se “risolvessi” gli attacchi di panico, cosa che comunque a lungo termine non accade, come purtroppo testimoniano migliaia di pazienti, compresa quella che telefonerà in studio, ammesso che sia vero, ma a lungo termine non lo è, non ti viene in mente che nel frattempo stai anche ammazzando la sua sensibilità?

Telefonata
-         Buonasera (..) sono da 6 anni che prendo un farmaco antipanico.
Voglio sapere se posso smettere o devo continuare.
-         Mirabella: e in questi 6 anni ha avuto frequenti attacchi oppure mai?
-         Sì sì.
-         Mirabella: Nonostante il farmaco?
-         No, no, no, il farmaco diciamo che , quando stavo per smettere riprendevano un’altra volta gli attacchi di panico.
-         Mirabella: ah quindi, col farmaco non li ha gli attacchi di panico?
-         No, no.
-         Andreoli: Non smetta!

Naturalmente la Signora non dice che non solo non ha potuto dismettere i farmaci, ma che certamente ha dovuto continuamente aumentarli, in sei anni. E non dice neanche, perché ovviamente “non è quello il luogo”, perché, comprensibilmente, vorrebbe dismetterli.

-         Mirabella: è molto semplice. Ma hanno degli effetti collaterali?
-         Andreoli: No, signora le sembrerà semplice questa mia risposta, ma lei sa quanto è brutto un attacco di panico? E siccome parlando di terapia i farmaci che sono indicati sono farmaci cui faceva cenno il nostro Verdone, che hanno anche un’azione o anti-ansia, o anti-depressiva, quindi sono farmaci che non hanno effetti collaterali, ma proprio hanno la funzione di ridurre, di ridurre la paura dell’attacco di panico, di ridurre quell’ansia, e in qualche modo togliere quell’ansia, per cui tutto sembra un inizio di attacco di panico.
-         Mirabella: Col farmaco invece, si allevia la tensione

Questa è proprio la ciliegina sulla torta: signora, lei sa quanto è brutto un attacco di panico. Non rompa. Continui a prenderseli. Per tutta la vita.
Non gli chiede se abbia mai fatto un lavoro psicologico che l’abbia resa gradualmente sempre più in grado di affrontare gli attacchi di panico. Naturalmente lei non l’ha fatto perché è in cura presso gente come lui. Aggiungiamo che probabilmente la donna si autosospendeva i farmaci, come la maggior parte dei pazienti, anche perché vedendo che passando i mesi, il medico non glieli diminuisce mai, la tendenza inevitabile è quella. Purtroppo ciò dà adito naturalmente a degli effetti rebound, cioè di compensazione, dovuti alla brusca interruzione o comunque all’esagerata diminuzione, perché, come ogni droga, anche i farmaci non si possono lasciare così, di punto in bianco. Purtroppo la conseguenza sempre automatica di tutto ciò è che il paziente si convince vieppiù di essere malato, di non poter fare a meno dei farmaci, e continuerà a prenderne sempre di più. Non perché in realtà non potrebbe farne a meno, ma perché glielo viene fatto credere, e contestualmente non viene fatto alcun lavoro psicologico per affrontare e superare gli attacchi di panico.
Eppure, saggiamente, la donna sente che questo non è certamente la cosa migliore per la sua vita. Lei vorrebbe guarire veramente. Liberarsene. Non essere una drogata a vita. Eccezionale poi l’affermazione che questi farmaci non abbiano effetti collaterali. Esamineremo poi questa affermazione.
Ma continuiamo ad ascoltare:

-         Si abbassa, si abbassa l’ansia, ed inoltre si innalza un po’ lo stato dell’umore. Perché se uno si mette appunto con quell’ansia anticipatoria, dicendo: oddio, mi è passato, ma potrebbe capitarmi… (gesto eloquente descrivente assoluta impotenza in merito) no, no, non si può!

Bellissima anche la comunicazione non-verbale che non potrebbe essere più adatta a suggerire l’assoluta impossibilità di fare alcunché.
Eppure anche la febbre si riprenderà prima o poi dopo essere guariti, potranno ricapitare delle storie “sbagliate”, di andare al cinema a vedere film brutti, di fare delle vacanze costose e poco divertenti: ogni problema della vita, di ogni tipo, potrà sempre ripresentarsi e diventare adulti e maturi vuol dire imparare ad acquisire il coraggio e la speranza di farcela, di non ricadere, di vincere le difficoltà. Ma per Andreoli no: i panicanti sono spacciati, dovranno prendere psicofarmaci per sempre, così come, naturalmente, lo stesso dovranno fare i depressi, gli ossessivi, i bambini con la “sindrome da deficit dell’attenzione”, che poi dovranno prenderli anche da adulti, ecc.
La logica di Andreoli, del resto, a seguirla fino in fondo, condurrebbe a una sola conclusione: tutta l’umanità dovrebbe prendere psicofarmaci, dalla nascita alla morte. Anzi, già le madri dovrebbero prenderli anche quando sono incinte, poiché se questi abbassano l’ansia, la depressione, innalzano l’umore, e non hanno nessuna controindicazione, nessun effetto collaterale, visto che tutti siamo inevitabilmente preda della paura, dell’ansia, dell’angoscia, vedendo anche questi psichiatri che la diffondono a piene mani, che motivo c’è di non prendere tutti, e sempre gli psicofarmaci?

-         Mirabella: A parte il farmaco: lei suggerisce anche il lettino, o la poltrona?

-         Ma guardi forse, forse di più la poltrona, perché vede, vede, studiando sempre di più questo organo complicato che noi abbiamo,

In realtà il cervello è positivamente e meravigliosamente complesso, solo Andreoli potrebbe definire complicato (un’accezione negativa) un organo così miracoloso e straordinario. Per fortuna che ci sono certi psichiatri a “semplificare” le cose…

-         ed è interessante che questo nucleo, quest’amigdala sia legata al tronco, vuol dire che è influenzato anche da tante cose esterne… prima parlavano i qui presenti di intestino, dovranno tra poco aggiungere, che agisce anche sull’umore…sull’umore nel senso proprio biologico, che genera ansia, che sempre di più vediamo influenze esterne del corpo sul cervello… e in particolare su questi nuclei che sono quelli più bassi, quelli, i primitivi insomma.
-         Mirabella: ho capito che la prossima conversazione col paziente sarà a cena?
-         Perché no? Perché no? (…)

Così viene completamente bypassata la domanda sull’intervento psicologico. Non solo, ne approfitta per aggiungerci altra paura:

-         Ma guardi perché poi quando uno ha queste paure, ha paura di tutto, vuol dire posso mangiare questo, ma posso fare questo, cioè, è veramente una paura, che diventa, che diventa generale…tale per cui, non toccano niente.

Si continua a generalizzare e a estremizzare, e poi svilupperanno sempre più paure, insicurezza, si chiuderanno in casa, diventeranno invalidi permanenti, si deprimeranno e penseranno a gesti inconsulti… un’ottima profezia che si auto avvera!

-         Mirabella: ma lei ne ha guariti? O meglio, si guarisce?
-         E’ sempre meglio non chiedere ad un medico quanti ne ha guariti e sperare nella bontà di chi è stato curato. No, quello che però le posso dire è: non è corretto dire che gli attacchi di panico si guariscono. Non sappiamo quando sorgono, non sappiamo quando finiscono, l’unica cosa che possiamo dire, modestamente, è che riusciamo a, come dire a controllare.

Questa è proprio la pietra tombale sulla speranza.
In realtà ci sono in tutto il mondo centinaia di migliaia di persone che riescono a guarire, a uscire, a liberarsi dagli attacchi di panico. Anzi, la quantità di quelli che se ne liberano (appunto io non userei il termine guariscono) varia a seconda che includiamo nella categoria chi li ha avuti anche una sola volta, o due, e nei quali non si è innestato una forte paura della paura (che è il vero problema).
Se includiamo nella categoria anche questi ultimi, ecco che la stragrande maggioranza, fortunatamente, riesce a liberarsene senza passare né da psichiatri, né da psicologi, né da gruppi di auto aiuto e simili.

-         Mirabella: La sua esperienza: ci sono casi in cui sono cominciati e poi finiti per sempre?
-         Andreoli: Ssì… però,  diciamo non sono successi negli ultimi 2, 3, 4, anni.
-         Mirabella: E’ già un buon successo.
-         Andreoli: Però, chi ne ha avuti un po’, perché uno si dimentica… il secondo, se è a distanza di tempo, si riesce a dire: beh, sarà stato un caso… però quando uno ne ha avuto una serie non si dimentica più, e noi dobbiamo… perché diciamo ci sono delle strategie per contenerli, ci sono delle strategie per controllarli, più che per guarirli, la parola guarire è una parola che nel nostro… nella nostra…
-         Mirabella: che usate tutti qua con prudenza. Tutti, segnatamente poi, gli psichiatri…
-         Andreoli: Nella nostra realtà!
-         Mirabella: Nella vostra disciplina!

Vediamo alcuni siti medici in cui si parla di attacchi di panico e psicofarmaci, stavolta dando la parola in modo più esteso anche ai pazienti e alle pazienti:


Farmaci
Soltanto nel caso di attacchi ripetuti si ricorre alla somministrazione di farmaci antidepressivi, che sono preventivi perché sembrano agire sui meccanismi che generano l'attacco. Vanno prescritti esclusivamente da uno psichiatra. I piú utilizzati sono i triciclici. Complementari agli antidepressivi sono le benzodiazepine, eventualmente integrate da betabloccanti. Le prime non hanno gravi effetti secondari e sono efficaci nel bloccare un attacco in corso, favoriscono il rilasciamento mentale e fisico. I betabloccanti diminuiscono i sintomi fisici dell'ansia.

Da questo sito una lettera di una ragazza con attacchi di panico e la relativa risposta:


Gentili dottori, sono una ragazza di 26 anni e a seguito di un attacco di panico a fine febbraio 2002 ho iniziato una cura di Lorans gocce nella dose di 10-10-20 e di deniban, poi dopo 3 mesi per problemi al ciclo ho sostituito il Deniban con Efexor 75 a rilascio prolungato.
Attualmente a distanza ormai di un anno non faccio più uso dell'ansiolitico (tranne poche gocce quando proprio mi sento che l'ansia mi assale) e sto invece ancora assumendo l'Efexor.
Mi domando per quanto tempo ancora dovrò continuare a prendere questo farmaco, perché temo che a lungo andare possa farmi più male che bene soprattutto se mi ci abituo tanto da non poterne più fare a meno. Vorrei aggiungere che 4 mesi fa ho avuto un altro attacco di panico, a seguito del quale ho ripreso le gocce di Lorans per un paio di mesi e poi le ho definitivamente lasciate.
Questo fatto mi ha indotto a credere che forse ormai sono predisposta a questi attacchi e che non c'è psicofarmaco che tenga, se tanto io sono un tipo molto preoccupato e ansioso.
Secondo lei riuscirò a tornare a vivere senza antidepressivi e come potrò smettere l'Efexor che oramai assumo da quasi un anno senza avere ricadute terribili?
Distinti saluti

 

Risposta dello psichiatra:

E' molto giusto usare l'antidepressivo (Efexor) continuativamente e l'ansiolitico (Lorans) solo al bisogno. Non deve assolutamente temere che questi farmaci possano nuocerle, né tantomeno che possa instaurarsi una abitudine a questi, tanto da non poterne più fare a meno.
La terapia antidepressiva, nel caso degli attacchi di panico deve essere mantenuta molto a lungo, per evitare il pericolo di ricadute ed assicurare invece una completa guarigione.

Già, ma quando guarirà se prende solo farmaci, e se non li dismetterà mai?
Anche qui una ragazza stufa degli psicofarmaci che dice, giustamente:


salve, stamattina facevo delle ricerche su internet: cercavo l'aiuto di un buon dr che mi aiutasse ad uscire definitivamente da questo stato assurdo in cui mi trovo!eh ho trovato questo sito che mi ha dato molte speranze...si possono avere + consulti ed opinioni differenti e sommate alla mia esperienza (da paziente)posso capire quale può essere la strada giusta! Ho già cambiato due pschiatri ma sembra solo di tamponare con tutti questi farmaci!tre anni fa x la prima volta sono svenuta, era un attacco di panico! da allora la mia vita nn è + la stessa..ho fatto la terapia e seguita meticolosamente, x un anno con elopram arrivando al max con 10 goccie e prazene, poi ho scalato sotto indicazioni del dr ma dopo pochi mesi 3/4 dopo alcuni problemi in famiglia ho avuto la ricaduta...che nn credevo possibile!!!!pensavo che la cura mi avesse guarita x sempre e che tutto sarebbe tornato alla normalità, e invece di nuovo formicolio, sudorazione, nausea, vomito, vertigini(tutt'ora)nonostante la seconda cura (da un anno 30 mg di sereupin e 0,75 di xanax sostituendo prazene che prendevo da un anno, appetito,(ingrassata di almeno dieci kg)spossatezza, vertigini veramente assurde, poca energia..insomma sto a letto da una settimana sono senza forze e nn posso lavorare!!addirittura sto male anche se faccio sesso poichè il consumo di energie deve essere troppo!!nn sò ditemi voi!forse ho scritto cosi veloce da aver dimenticato qualcosa, ma credetemi prima conducevo una vita normale anche se come tutti con alti e bassi, ma ora è un'angoscia, sto bene 10 gg al mese, per il resto sto malissimo 15 gg prima del ciclo, durante e dopo!la mia dr dice che si tratta di disforia e mi ha consigliato mag 2, ma perchè prima di tre anni fa nn ho mai sofferto di questi problemi?ho paura di rovinare un nuovo rapporto appena iniziato perchè sto sempre male, e soprattutto ho paura di nn riuscire ad avere la forza x avere una gravidanza! vi prego aiutatemi a ritornare com'ero!

(La lettera non è stata volutamente né ritoccata né corretta neanche nelle abbreviazioni per conservarne l’autenticità)

Vediamo adesso le controindicazioni dei farmaci indicati da Verdone, (Lexotan,  Serpax, Seroxat, (l’oxazepam è il principio attivo del Lexotan e del Serpax),
così il lavoro sporco l’hanno fatto fare a lui, senza volere, dato che parlava in quell’occasione in una trasmissione comica, i farmaci che secondo Andreoli non avrebbero effetti collaterali. Vediamo prima le schede tecniche redatte dalle stesse case farmaceutiche, poi altri siti indipendenti.




CATEGORIA FARMACOTERAPEUTICA:
Lexotan è un ansiolitico appartenente alla classe delle benzo-diazepine.
INDICAZIONI:
Disturbi emotivi. Stati di tensione e di ansia, senso di insicurezza e paure immoti-vate anche accompagnate da manifestazioni depressive, nervosismo, agitazione, difficoltà di contatto ed insonnia. Disturbi psicosomatici e funzionali dell’apparato cardiovascolare e respi-ratorio, dell’apparato gastro-intestinale, dell’apparato genito-urinario, cefalea da tensione. Reazioni emotive ad una malattia organica cronica. Le benzodiazepine sono indicate soltantoquando il disturbo è grave, disabilitante o sottopone il soggetto a grave disagio.
CONTROINDICAZIONI:
Miastenia gravis. Ipersensibilità alle benzodiazepine. Ipersensibilità accertata al bromazepam o a qualcuno degli eccipienti. Grave insufficienza respiratoria. Grave insufficienza epatica. Sindrome da apnea notturna. Primo trimestre di gravidanza, allattamento.
EFFETTI INDESIDERATI:
Sonnolenza, ottundimento delle emozioni, riduzione della vigilanza, confusio-ne, affaticamento, cefalea, vertigini, diminuzione del tono muscolare, atassia, visione doppia.
Questi fenomeni si presentano principalmente all’inizio della terapia e solitamente scompaiono con le successive somministrazioni. Sono state segnalate occasionalmente altre reazioni avverse che comprendono: disturbi gastrointestinali, cambiamenti nella libido e reazioni a carico della cute. Amnesia. Amnesia anterograda può avvenire anche ai dosaggi terapeutici, il rischio aumenta ai dosaggi più alti. Gli effetti amnesici possono essere associati con alterazioni delcomportamento. Depressione. Durante l’uso di benzodiazepine può essere smascherato uno stato depressivo preesistente. Le benzodiazepine o i composti benziodiazepinosimili possono causare reazioni come: irrequietezza, agitazione, irritabilità, aggressività, delusione, collera, incubi, allucinazioni, psicosi, alterazioni del comportamento. Tali reazioni possono essere abba-stanza gravi. Sono più probabili nei bambini e negli anziani. Dipendenza. L’uso di benzodiazepine (anche alle dosi terapeutiche) può condurre allo sviluppo di dipendenza fisica:la sospensione della terapia può provocare fenomeni di rimbalzo o da astinenza. Può verificarsi dipendenza psichica. È stato segnalato abuso di benzodiazepine.
PRECAUZIONI D’IMPIEGO:
Tolleranza. Una certa perdita di efficacia agli effetti ipnotici delle benzo-diazepine può svilupparsi dopo un uso ripetuto per alcune settimane. Dipendenza. L’uso di benzodiazepine può condurre allo sviluppo di dipendenza fisica e psichica da questi farmaci. Il rischio di dipendenza aumenta con la dose e la durata del trattamento; esso è maggiore in pazienti con una storia di abuso di droga o alcool. Una volta che la dipendenza fisica si è sviluppata, il termine brusco del trattamento sarà accompagnato dai sintomi da astinenza. Questi possono consistere in cefalea, dolori muscolari, ansia estrema, tensione, irrequietezza, confusione e irritabilità. Nei casi gravi possono manifestarsi i seguenti sintomi: derealizzazione, depersonalizzazione, iperacusia, intorpidimento e formicolio delle estremità, ipersensibilita alla luce, al rumore e al contatto fisico, allucinazioni o scosse epilettiche. Insonnia ed ansia di rimbalzo: all’interruzione del trattamento può presentarsi una sindrome transitoria in cui i sintomiche hanno condotto al trattamento con benzodiazepine ricorrono in forma aggravata. Può essere accompagnata da altre reazioni, compresi cambiamenti di umore, ansia, irrequietezza o disturbi del sonno. Poiché il rischio di sintomi da astinenza o da rimbalzo è maggiore dopo la sospensione brusca del trattamento, si suggerisce di effettuare una diminuzione graduale del dosaggio. Durata del trattamento. La durata del trattamento dovrebbe essere la più breve possibile a seconda dell’indicazione: nel caso dell’ansia, non dovrebbe superare le otto-dodici settimane, compreso un periodo di sospensione graduale. L’estensione della terapia oltre questi periodi non dovrebbe avvenire senza rivalutazione della situazione clinica. Può essere utile informare il paziente quando il trattamento è iniziato che esso sarà di durata limitata e spiegare precisamente come il dosaggio deve essere diminuito progressivamente. Inoltre è importante che il paziente sia informato della possibilità di fenomeni di rimbalzo, minimizzando quindi l’ansia riguardo a tali sintomi se dovessero accadere alla sospensione del medicinale. Ci sono ele-menti per prevedere che, nel caso di benzodiazepine con una durata breve di azione, i sintomi da astinenza possono diventare manifesti all’interno dell’intervallo di somministrazione tra una dose e l’altra, particolarmente per dosaggi elevati. Quando si usano benzodiazepine con una lunga durata di azione, è importante avvisare il paziente che è sconsigliabile il cambiamento improvviso con una benzodiazepina con una durata di azione breve, poiché possono presentarsi sintomi da astinenza. Amnesia. Le benzodiazepine possono indurre amnesia anterograda. Ciò accade più spesso parecchie ore dopo l’ingestione del farmaco e, quindi, per ridurre il rischio ci si dovrebbe accertare che i pazienti possano avere un sonno ininterrotto di 7-8 ore. Reazioni psichiatriche e paradosse. Quando si usano benzodiazepine è noto che possano accadere reazioni come irrequietezza, agitazione, irritabilità, aggressività, delusione, collera, incubi, allucinazioni, psicosi, alterazioni del comportamento. Se ciò dovesse avvenire, l’uso del medicinale dovrebbe essere sospeso. Tali reazioni sono più frequenti nei bambini e negli an-ziani. Gruppi specifici di pazienti. Le benzodiazepine non dovrebbero essere date ai bambini senza valutazione attenta dell’effettiva necessità del trattamento; la durata del trattamento deve essere la più breve possibile. Gli anziani dovrebbero assumere una dose ridotta. Egualmente, una dose più bassa è suggerita per i pazienti con insufficienza respiratoria cronica a causa del rischio di depressione respiratoria. Le benzodiazepine non sono indicate nei pazienti con grave insufficienza epatica in quanto possono precipitare l’encefalopatia. Le benzodiazepine non sono consigliate per il trattamento primario della malattia psicotica. Le benzodiazepine non dovrebbero essere usate da sole per trattare la depressione o l’ansia connessa con la depressione (il suicidio può essere precipitato in tali pazienti). Le benzodiazepine dovrebbero essere usate con attenzione estrema in pazienti con una storia di abuso di droga o alcool.
AVVERTENZE SPECIALI:
La sedazione, l’amnesia, l’alterazione della concentrazione e della funzione muscolare possono influenzare negativamente la capacità di guidare e utilizzare macchinari.
Se la durata del sonno è stata insufficiente, la probabilità che la vigilanza sia alterata può es-sere aumentata.
USO IN GRAVIDANZA:
Se il prodotto viene prescritto ad una donna in età fertile, ella deve mettersiin contatto con il proprio medico, sia se intende iniziare una gravidanza, sia se sospetta di essere incinta, per quanto riguarda la sospensione del medicinale; se, per gravi motivi medici, il prodotto è somministrato durante l’ultimo periodo di gravidanza, o durante il travaglio alle dosi elevate, possono verificarsi effetti sul neonato quali ipotermia, ipotonia e moderata depressione respiratoria dovuti all’azione farmacologica del farmaco. Inoltre, neonati nati da madri che hanno assunto benzodiazepine cronicamente durante le fasi avanzate della gravidanza possono sviluppare dipendenza fisica e possono presentare un certo rischio per sviluppare i sintomi da astinenza nel periodo postnatale. Poiché le benzodiazepine sono escrete nel latte materno,esse non dovrebbero essere somministrate alle madri che allattano al seno.
INTERAZIONI:
L’assunzione concomitante con alcool va evitata. L’effetto sedativo può essere au-mentato quando il medicinale è assunto congiuntamente ad alcool. Ciò influenza negativamente la capacità di guidare o di usare macchinari. Associazione con i deprimenti del
SNC:
l’effetto depressivo centrale può essere accresciuto nei casi di uso concomitante con antipsicotici (neurolettici), ipnotici, ansiolitici/sedativi, antidepressivi, analgesici narcotici, antiepilettici, ane-stetici e antistaminici sedativi. Nel caso degli analgesici narcotici può avvenire aumento dell’euforia conducendo ad un aumento della dipendenza psichica. Composti che inibiscono determinati enzimi epatici (specialmente citocromo P450) possono aumentare l’attività delle benzodiazepine. In grado inferiore, questo si applica anche alle benzodiazepine che sono metabolizzate soltanto per coniugazione.
POSOLOGIA:
Per la variabilità delle risposte individuali, la posologia va regolata caso per caso, in media 1,5-3 mg 2-3 volte al giorno (1-2 capsule o 1-2 compresse da 1,5 mg 2-3 volte al di’, oppure 1 capsula o 1 compressa da 3 mg 2-3 volte al di’, oppure 15-30 gocce 2-3 volte al di’).Nel trattamento di pazienti anziani la posologia deve essere attentamente stabilita dal medico che dovrà valutare una eventuale riduzione dei dosaggi sopraindicati. Il trattamento dovrebbe essere il più breve possibile. Il paziente dovrebbe essere rivalutato regolarmente e la necessità di un trattamento continuato dovrebbe essere valutata attentamente, particolarmente se il pa-ziente è senza sintomi. La durata complessiva del trattamento, generalmente, non dovrebbe superare le 8-12 settimane, compreso un periodo di sospensione graduale. In determinati casi,può essere necessaria l’estensione oltre il periodo massimo di trattamento; in tal caso, ciò non dovrebbe avvenire senza rivalutazione della condizione del paziente.
SOVRADOSAGGIO:
Come per le altre benzodiazepine, una dose eccessiva non dovrebbe presentare rischio per la vita, a meno che non vi sia assunzione concomitante di altri deprimenti del SNC
(incluso l’alcool). Nel trattamento dell’iperdosaggio di qualsiasi farmaco, dovrebbe essere con-siderata la possibilità che siano state assunte contemporaneamente altre sostanze. A seguito di una dose eccessiva di benzodiazepine per uso orale, dovrebbe essere indotto il vomito (entro un’ora) se il paziente è cosciente o intrapreso il lavaggio gastrico con protezione delle vie respiratorie se il paziente è privo di conoscenza. Se non si osserva miglioramento con lo svuo-tamento dello stomaco, dovrebbe essere somministrato carbone attivo per ridurre l’assorbimento. Attenzione speciale dovrebbe essere prestata alle funzioni respiratorie e cardio-vascolari nella terapia d’urgenza. L’iperdosaggio di benzodiazepine si manifestata solitamente con vario grado di depressione del sistema nervoso centrale che varia dall’obnubilamento al coma. Nei casi lievi, i sintomi includono obnubilamento, confusione mentale e letargia. Nei casi più gravi, i sintomi possono includere atassia, ipotonia, ipotensione, depressione respiratoria,raramente coma e molto raramente morte. Il "Flumazenil" può essere utile come antidoto.

Vediamo il Seroxat, (principio attivo paroxetina), che di per sé sarebbe un antidepressivo, ma che come vediamo è usato anche per gli attacchi di panico
Da: http://www.medicinelab.net/farmaci/seroxat.htm
Scheda tecnica del seroxat
CATEGORIA FARMACOTERAPEUTICA:
Antidepressivo
INDICAZIONI:
Trattamento della depressione di tutti i tipi, compresa la depressione accompagna-ta da ansietà e nella prevenzione delle recidive e delle ricadute della depressione. Trattamento
del disturbo ossessivo compulsivo e nella prevenzione delle sue recidive. Trattamento del di-sturbo da attacchi di panico con o senza agorafobia e nella prevenzione delle sue recidive. L’aggiunta di paroxetina alla terapia cognitiva di tipo comportamentale si è dimostrata significativamente più efficace nel trattamento del disturbo da attacchi di panico rispetto alla terapia cognitiva comportamentale da sola. Seroxat è indicato nel trattamento del disturbo d’ansia sociale/fobia sociale.
CONTROINDICAZIONI:
Ipersensibilità verso i componenti o verso altre sostanze strettamente cor-relate dal punto di vista chimico. Non somministrare in età pediatrica. Generalmente controindicato in gravidanza e durante l’allattamento.
EFFETTI INDESIDERATI:
Le reazioni indesiderate con paroxetina sono di moderata entità e non influen-zano la qualità di vita del paziente; generalmente non richiedono interruzione della terapia e durante il trattamento prolungato possono diminuire di intensità e frequenza. Le reazioni avverse associate all’uso di paroxetina più comunemente osservate sono: nausea, sonnolenza, sudorazione, tremore, astenia, secchezza delle fauci, insonnia, disfunzioni sessuali, capogiri, costipa-zione, diarrea e diminuzione dell’appetito. Paroxetina, rispetto agli antidepressivi triciclici, è associata ad una minore probabilità di causare secchezza delle fauci, costipazione e sonnolenza. Raramente sono stati riscontrati esantema, glaucoma acuto, ritenzione urinaria, edemi periferici e al viso, tachicardia, trombocitopenia, sindrome serotoninergica (i cui sintomi possono includere: agitazione, confusione mentale, diaforesi, allucinazioni, iperreflessia, mioclono, brividi, tachicardia e tremore) e sintomi che suggeriscono una iperprolattinemia/galattorrea. Ra-ramente, prevalentemente nell’anziano, è stata riscontrata iponatriemia, che può essere associata con la sindrome da "secrezione inappropriata dell’ormone antidiuretico" (SIADH) e che generalmente scompare con la sospensione del farmaco. Sono stati riscontrati aumenti degli enzimi epatici. Benchè anomalie epatiche severe siano state riportate raramente, si consiglia di sospendere il trattamento in caso di persistenza di alterazioni della funzionalità epatica. Occasionalmente sono stati riportati disturbi extrapiramidali, inclusa distonia oro-facciale, in pa-zienti con pregressi disturbi del movimento o in pazienti in trattamento con neurolettici. Analogamente ad altri farmaci psicoattivi, l’interruzione repentina della somministrazione può comportare la comparsa di sintomi quali capogiri, disturbi sensoriali, disturbi del sonno, agitazione o ansia, nausea e sudorazione. Come con gli altri SSRI, a seguito di trattamento con paroxetina sono stati osservati transitori aumenti o diminuzioni della pressione arteriosa, solitamente in pazienti con preesistente ipertensione o ansia. Come con gli altri SSRI, raramente sono stati riportati confusione mentale, convulsioni e reazioni di fotosensibilità. Raramente, in seguito alla somministrazione di antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina si possono verificare manifestazioni emorragiche quali ecchimosi, emorragie ginecologiche, manifestazioni emorragiche a carico del tratto gastrointestinale, delle mucose o anche di altri di-stretti dell’organismo. Talvolta, è stata rilevata anche porpora.
PRECAUZIONI D’IMPIEGO:
INIBITORI DELLE MONOAMINO-OSSIDASI (MAO-INIBITORI). Come nella mag-gior parte delle terapie con antidepressivi, paroxetina non dovrebbe essere somministrata in associazione con MAO-inibitori o prima di due settimane dal termine di tale trattamento. In questo caso l’inizio della terapia richiede particolare cautela e l’aumento del dosaggio deve essere graduale in base alla risposta del paziente. Analogamente non è opportuno iniziare una terapia con MAO-inibitori prima di due settimane dal termine della terapia con paroxetina. Come con altri SSRI, paroxetina dovrebbe essere usata con cautela in pazienti già in trattamento con neurolet-tici, poiché con questa associazione sono stati riportati sintomi indicativi di casi di "sindrome maligna da neurolettici". MANIA. Seroxat dovrebbe essere usato con precauzione in pazienti con storia clinica di mania. TRIPTOFANO. Poichè sono stati riferiti eventi avversi in caso di sommini-strazione contemporanea di triptofano e inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, paroxetina non dovrebbe essere usata in corso di trattamento con triptofano.  PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI Seroxat non produce variazioni cliniche significative della pressione arteriosa,della frequenza cardiaca e dell’ECG. In presenza di patologie cardiovascolari devono essere osservate le consuete precauzioni. EPILESSIA Come nel caso di altri antidepressivi, Seroxat dovreb-be essere usato con cautela in pazienti epilettici. C
ONVULSIONI Complessivamente l’incidenza diconvulsioni in pazienti trattati con Seroxat è stata 0,1%. Il trattamento con Seroxat deve essere sospeso nei pazienti che presentino convulsioni. T ERAPIA ELETTROCONVULSIVANTE (ECT) Esiste un’esperienza clinica limitata nella somministrazione concomitante di paroxetina con terapia elettroconvulsivante (ECT). GLAUCOMA Come con altri SSRI, paroxetina può raramente causare midriasi e pertanto dovrebbe essere usata con cautela in pazienti con glaucoma ad angolo stretto. TERAPIA ANTICOAGULANTE I farmaci appartenenti alla classe degli antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina vanno somministrati con cautela in pazienti che ricevano in concomitanza anticoagulanti, farmaci che influenzano l’aggregazione piastrinica (farmaci antin-fiammatori non steroidei, acido acetilsalicilico, ticlopidina, ecc.) o altri farmaci che possono accrescere il rischio di sanguinamento. Inoltre, tali farmaci vanno somministrati con cautela nei pazienti con precedenti di disordini della coagulazione.
AVVERTENZE SPECIALI:
Quando si interrompe bruscamente il trattamento con inibitori della ricaptazio-ne della serotonina possono comparire: insonnia, vertigini, sudorazione, palpitazioni, nausea, ansia, irritabilità, parestesie e cefalea. Pertanto, quando si decide di interrompere il trattamento le dosi devono essere diminuite in modo graduale per ridurre al minimo l’entità di tali sintomi. Porre attenzione a non interpretare tali sintomi attribuendoli ad un peggioramento della malattia psichiatrica trattata.
USO IN CASO DI GRAVIDANZA E DI ALLATTAMENTO La sicurezza della paroxetina nella donna in gravidanza non è stata stabilita; pertanto il prodotto non dovrebbe essere utilizzato durante la gravidanza o l’allattamento se non nei casi in cui il potenziale beneficio superi il possibile rischio e comunque sotto il diretto controllo del medico.
EFFETTI SULL’USO DI MACCHINE E SULLA CAPACITÀ DI GUIDARE L’esperienza clinica ha dimostrato che la terapia con paroxetina nonè associata ad alterazioni delle funzioni cognitive o psicomotorie. Tuttavia come con tutti i farmaci psicoattivi, i pazienti dovrebbero essere avvertiti di usare cautela nell’uso di macchinari pericolosi e nella guida di autoveicoli. Sebbene paroxetina non aumenti gli effetti dannosi psicomotori indotti dalla assunzione di alcool, il suo uso concomitante è sconsigliato.

E adesso altri siti indipendenti:

Effetti collaterali:


Gli ansiolitici sono i farmaci in assoluto più usati al mondo, dopo i comuni anti-infiammatori.
Ansia, attacchi di panico, gravi e persistenti difficoltà a prendere sonno o la presenza di un sonno disturbato da prolungati risvegli notturni, hanno come conseguenza la stanchezza, l'irritabilità, la difficoltà a svolgere il proprio lavoro ed in generale provocano un peggioramento della qualità della vita. (…)
Moltissime persone, invece, ricorrono ai cosiddetti tranquillanti, farmaci che riducono la quota di ansia libera durante la veglia e facilitano il buon sonno.
I farmaci più usati sono le benzodiazepine (Tavor, Xanax, Valium, Ansiolin, En, Frontal, Lexotan, Prazene, Control, Lorans, ecc.). Esistono poi alcuni derivati benzodiazepinici (Dalmadorm, Felison, Halcion, Minias, Roipnol, ecc.) e altri farmaci che, pur avendo composizione diversa dalle benzodiazepine, hanno un effetto sedativo (Nottem, Stilnox, Buspar, ecc.). Largo uso viene fatto anche di prodotti "naturali", quali la Valeriana, il Sedatol, ecc.
Non è da sottovalutare il fatto che questi farmaci provocano, come ogni sostanza psicoattiva, dipendenza fisica e psicologica, assuefazione (= bisogno di aumentare la dose per sentirne gli effetti) e crisi di astinenza.

Gli inquietanti effetti collaterali degli psicofarmaci

pazienti con lexotan

Ma allora perché gente come Andreoli dice che questi farmaci “non hanno effetti collaterali”? Perché è vero che rispetto agli antipsicotici sono quisquilie. Ma questo non vuol dire, come abbiamo visto anche dall’esperienza dei pazienti, che siano innocui, sia perché questi pazienti non potranno mai sentirsi guariti finché dovranno prendere psicofarmaci, sia perché comunque hanno effetti negativi ad ampio spettro, non ultimi ovviamente quelli sul fegato, come tutti i farmaci.
Come si può affermare che sia innocuo prenderli per anni, per il fisico, per la psiche, per l’autostima dei pazienti? E’ bene ricordare che qui Andreoli non sta parlando ai medici, sta parlando alla gente comune alla quale dice testualmente che questi “non danno effetti collaterali”!
Ma vediamo il confronto con un antipsicotico, l’haldol, rispetto al quale, appunto, i farmaci già visti sono più “inoffensivi”. Capiremo che solo in confronto a questi ultimi si può definire “blandi” seroxat, lexotan e compagnia cantante.


HALDOL
CATEGORIA FARMACOTERAPEUTICA:
Antipsicotico derivato del butirrofenone.
INDICAZIONI:
COMPRESSE E GOCCE ORALI:
Agitazione psicomotoria in caso di: stati maniacali, demenza, oligofrenia, psicopatia, schizofrenia acuta e cronica, alcoolismo, disordini di personalità
di tipo compulsivo, paranoide, istrionico. Deliri ed allucinazioni in caso di: schizofrenia acuta e cronica, paranoia, confusione mentale acuta, alcoolismo, (Sindrome di Korsakoff), ipocondriasi, disordini di personalità di tipo paranoide, schizoide, schizotipico, antisociale, alcuni casi di tipo borderline. Movimenti coreiformi. Agitazione, aggressività e reazioni di fuga in soggetti anziani. Turbe caratteriali e comportamentali dell’infanzia. Tics e balbuzie. Vomito. Singhiozzo.Sindromi da astinenza da alcool. F
FIALE:
Forme resistenti di eccitamento psicomotorio, psicosi acute deliranti e/o allucinatorie, psicosi croniche. L’impiego del prodotto ad alte dosi va limitato
alla terapia delle forme resistenti di: sindromi di eccitamento psicomotorio, psicosi acute deli-ranti e/o allucinatorie, psicosi croniche.
CONTROINDICAZIONI:
Stati comatosi, pazienti fortemente depressi dall’alcool o da altre sostanze attive sul sistema nervoso centrale, depressioni endogene senza agitazione, morbo di Parkinson. Ipersensibilità verso uno dei componenti. Astenie, nevrosi e stati spastici dovuti a lesioni dei gangli della base (emiplegia, sclerosi a placche, ecc.). Gravidanza accertata o presunta, allattamento e nel bambino nel primo biennio di vita.
EFFETTI INDESIDERATI:
EFFETTI SUL S.N.C.: Reazioni extrapiramidali: reazioni neuromuscolari di tipoextrapiramidale compaiono frequentemente, spesso durante i primi giorni di trattamento con Haldol. Si tratta generalmente di sintomi parkinsonsimili per lo più modesti e reversibili. Meno frequentemente si possono avere: irrequietezza motoria, distonia, acatisia, iperreflessia, opistotono, crisi oculogire. Generalmente la comparsa e la gravità di questi sintomi sono in relazione alla dose e richiedono la somministrazione di farmaci antiparkinson o più raramente la sospensione dell’Haldol. I farmaci antiparkinsoniani di tipo anticolinergico non dovrebbero essere routinariamente prescritti come misura profilattica, potendo questi ultimi diminuire l’efficacia terapeutica di Haldol. Discinesie persistenti tardive: raramente e specialmente in pazienti anzia-ni trattati a lungo con dosi elevate di Haldol, possono comparire le seguenti discinesie motorie, persistenti nel tempo: movimenti ritmici involontari della lingua, della faccia, della bocca o della mandibola (ad es. protrusione della lingua, gonfiamento delle guance, masticazione) e talora anche delle estremità. Tale sindrome non ha una terapia specifica, richiede la sospensione del trattamento ed è generalmente preceduta da fini movimenti vermicolari della lingua. Altri effetti sul S.N.C.: insonnia, irrequietezza, ansietà, euforia, agitazione, sonnolenza, depressione, letar-gia, cefalea, confusione, vertigine, attacchi epilettici in pazienti precedentemente controllati ed apparente esacerbazione di sintomi psicotici, incluse le allucinazioni. Effetti cardiovascolari:sono stati riportati episodi di tachicardia ed ipotensione. Molto raramente sono stati segnalati casi di aritmie ventricolari; nella maggior parte di essi non è stata accertata una relazione di causalità con la somministrazione di Haldol. Questi effetti possono comparire con maggior frequenza ad alte dosi ed in pazienti predisposti. Pertanto l’impiego di alti dosaggi deve essere li-mitato ai pazienti con bassa responsività al farmaco. Effetti ematologici: sono stati segnalati casi di lieve e transitoria leucopenia, di leucocitosi, di modesta oligoemia e di tendenza alla linfomonocitosi. Inoltre sono stati segnalati rari casi di agranulocitosi e trombocitopenia durante il trattamento concomitante con altri farmaci. Effetti sul fegato: sono stati segnalati, ma senza una dimostrata relazione causale, casi di insufficienza epatica e/o ittero e di epatite colestatica. Reazioni dermatologiche: manifestazioni maculopapulari ed acneiformi, casi di fotosensibilità e di alopecia, eccezionalmente orticaria e anafilassi. Disturbi endocrini: galattorrea, ingorghi mammari e mastalgia, irregolarità mestruali, ginecomastia, impotenza, aumento della libido,iperglicemia e ipoglicemia. Sono stati riportati inoltre rari casi di sindrome da inadeguata secrezione di ADH. Effetti gastrointestinali: anoressia, stipsi o diarrea, dispepsia, nausea e vomito,bruciore retrosternale, cambiamenti di peso. Reazioni vegetative: bocca arida, ipersalivazione, turbe visive, ritenzione urinaria, ipersudorazione, edema periferico. Effetti respiratori: laringo ebroncospasmo, aumento della profondità del respiro.
PRECAUZIONI D’IMPIEGO:
L’Haldol deve essere somministrato con prudenza nei seguenti casi:pazienti cardiopatici gravi, per possibile transitoria ipotensione arteriosa e/o comparsa di dolore anginoso (non usare in tal caso adrenalina in quanto l’Haldol può bloccare l’attività ipertensivacon ulteriore riduzione paradossa della pressione) e, comunque, in soggetti anziani o depressi; pazienti epilettici, poiché è stato riportato che Haldol può stimolare convulsioni in pazienti pre-cedentemente sotto controllo. È anche consigliata cautela in condizioni di predisposizione all’epilessia (per es. astenia da alcool, danni cerebrali) o altri tipi di convulsioni; pazienti con allergie note o con una storia di reazioni allergiche a farmaci o con affezioni leucopenizzanti; durante terapia anticoagulante per la segnalazione di un caso isolato di interferenza con gli ef-fetti del fenindione; durante la fase maniacale delle psicosi cicliche per la possibilità di un rapido cambiamento dell’umore verso la depressione; poiché l’aloperidolo è metabolizzato nel fegato,si consiglia di somministrarlo con cautela in pazienti con insufficienza epatica. In caso di contemporanea terapia antiparkinson, quest’ultima deve essere proseguita dopo la sospensione dell’Haldol che ha un più lungo tempo di eliminazione. La tiroxina può facilitare la tossicità di Haldol. Pertanto il prodotto dovrebbe essere somministrato con grande cautela in pazienti con ipertiroidismo. La terapia antipsicotica in questi ultimi dovrebbe essere accompagnata da un adeguato trattamento tireostatico. Nella schizofrenia, la riposta al trattamento con farmaci an-tipsicotici può essere ritardata. Anche se i farmaci vengono sospesi la ripresa dei sintomi può non apparire visibile per diverse settimane o mesi. Sintomi acuti da sospensione inclusi nausea,vomito ed insonnia sono stati descritti molto raramente dopo improvvisa interruzione di alte dosi di farmaci antipsicotici. Può anche verificarsi una ricaduta psicotica, per cui si consiglia una sospensione graduale. Haldol non dovrebbe essere usato in monoterapia nei casi in cui la depressione è predominante. Haldol può essere associato a farmaci antidepressivi nelle con-dizioni in cui coesistono depressione e psicosi. Sono stati riportati rari casi di morte improvvisa in pazienti psichiatrici trattati con farmaci antipsicotici, tra cui Haldol. Non è tuttavia possibile stabilire con certezza una relazione di causalità con l’uso di Haldol. Il farmaco deve essere somministrato sotto il controllo del medico psichiatra.
AVVERTENZE:
In corso di trattamento con farmaci antipsicotici è stato riportato un complesso di sintomi, potenzialmente fatale, denominato Sindrome Neurolettica Maligna. Manifestazioni cliniche di tale sindrome sono: iperpiressia, rigidità muscolare, acinesia, disturbi vegetativi (irregolarità del polso e della pressione arteriosa, sudorazione, tachicardia, aritmie); alterazioni dello stato di coscienza che possono progredire fino allo stupore e al coma. Il trattamento della S.N.M. consiste nel sospendere immediatamente la somministrazione dei farmaci antipsicotici e di altri farmaci non essenziali e nell’istituire una terapia sintomatica intensiva (particolare cura deve essere posta nel ridurre l’ipertermia e nel correggere la disidratazione). Qualora venisse ritenuta indispensabile la ripresa del trattamento con antipsicotici, il paziente deve essere attentamente monitorato. Con l’impiego di alcuni neurolettici maggiori, incluso l’Haldol, è stata segnalata la comparsa di casi di broncopolmonite, favoriti probabilmente dalla disidratazione per ridotta sensazione di sete, dalla emoconcentrazione e dalla ridotta ventilazione polmonare; la comparsa di tali sintomi, specie nell’anziano, richiede pronta ed adeguata terapia.
EFFETTI SULLA CAPACITÀ DI GUIDARE ED USARE MACCHINARI:
Il paziente ambulatoriale deve essere avvertito che la sedazione centrale dell’Haldol può ridurre le capacità mentali e/o fisiche richieste da particolari
attività pericolose quali la guida di autoveicoli o di macchinari e che è sconsigliato il consumo di alcool durante la terapia per possibili effetti additivi con ipotensione arteriosa.
INTERAZIONI:
L’associazione con altri psicofarmaci richiede particolare cautela e vigilanza da parte del medico ad evitare inattesi effetti indesiderati da interazione. Haldol, in particolare, può potenziare l’azione depressiva sul SNC prodotta dall’alcool e da altri farmaci depressori quali gli antiipertensivi, gli ipnotici, i sedativi, gli anestetici, gli analgesici forti ed i barbiturici. Il potenziamento dell’azione depressiva centrale di questi ultimi può dar luogo ad una grave depressione respiratoria. È stato inoltre riferito un potenziamento di tali effetti in caso di associazione con metildopa. Haldol può diminuire gli effetti antiparkinsoniani della levodopa. Haldol inibisce il metabolismo degli antidepressivi triciclici, aumentandone i livelli plasmatici. Ciò può portare ad un aumento della tossicità di questi farmaci (effetti anticolinergici, tossicità cardiovascolare, ab-bassamento della soglia convulsivante). Il trattamento cronico con carbamazepina in associazione con Haldol causa una riduzione significativa dei livelli plasmatici di aloperidolo; pertantonel trattamento concomitante la dose di Haldol dovrebbe essere adeguatamente corretta. Dopo interruzione della carbamazepina, può essere necessario ridurre il dosaggio di Haldol. Sono stati riferiti rari casi di sindrome simil-encefalopatica durante la terapia combinata con litio e Haldol. Rimane controverso se questi casi rappresentino una entità clinica distinta o se erano di fatto casi di sindrome neurolettica maligna e/o neurotossicità da litio. Nondimeno, in pazienti trattati contemporaneamente con Haldol e litio, qualora compaiano sintomi di neurotossicità, si raccomanda l’interruzione della terapia. Haldol può antagonizzare gli effetti di adrenalina e di altri agenti simpaticomimetici e invertire gli effetti ipotensivi degli agenti adrenergici quali ad esem-pio la guanetidina.
POSOLOGIA:
Il dosaggio dell’Aloperidolo è strettamente individuale e può variare a seconda dell’età, della condizione del paziente, della natura e della gravità dell’affezione, della risposta terapeutica e della tollerabilità del prodotto. È comunque consigliabile iniziare con piccole dosi per saggiare la sensibilità individuale. La somministrazione orale deve sostituire quella parenterale appena possibile. A titolo di esempio si fornisce il seguente schema posologico:
ADULTI:
Come neurolettico: Fase acuta: episodi acuti di schizofrenia, delirium tremens, paranoia, confusione acuta, sindrome di Korsakoff, paranoia acuta: 5-10 mg I.V. o I.M. da ripetere ogni orafino al raggiungimento di un adeguato controllo dei sintomi e comunque fino ad un massimo di 60 mg/die. Nella somministrazione orale potrebbe essere necessario raddoppiare le dosi so-praindicate. Fase cronica: schizofrenia cronica, alcoolismo cronico, disturbi cronici della personalità:
per somministrazione orale: da 1-3 mg tre volte al giorno, fino a 10-20 mg tre volte algiorno in relazione alla risposta individuale. Nel controllo dell’agitazione psico-motoria: Fase acuta: mania, demenza, alcolismo, disturbi della personalità e comportamentali, singhiozzo,movimenti coreiformi, tics, balbuzie: 5-10 mg I.V. o I.M Fase cronica: per somministrazione orale: da 0,5 mg-1 mg tre volte al giorno fino a 2-3 mg tre volte al giorno in relazione alla rispo-sta individuale. Come ipnotico: Per somministrazione orale: 2-3 mg in dose unica, la sera prima di coricarsi. Come antiemetico: 5 mg I.V.o I.M Nella profilassi del vomito postoperatorio: 2,5- 5 mg I.V. o I.M. alla fine dell’intervento. B
BAMBINI:
>5 anni di età:
iniziare con 0,5 mg (5 gocce alla concentrazione di 2 mg/ml o 1/2 compressa da 1 mg) 2 volte al di’; <5 anni di età: iniziare con 0,2 mg (2 gocce alla concentrazione di 2 mg/ml), 2 volte al di’. Se necessario, queste dosipossono essere adattate progressivamente, a somiglianza di quanto avviene negli adulti; in caso di insuccesso terapeutico il trattamento non va praticato per più di un mese.
ANZIANI:
Nel trattamento di pazienti anziani la posologia deve essere attentamente stabilita dal medico, che dovrà valutare una eventuale riduzione di dosaggi sopraindicati.
SOVRADOSAGGIO:
I sintomi da sovradosaggio sono principalmente intense reazioni extrapiramidali,ipertensione o ipotensione arteriosa e sedazione cui può far seguito uno stato comatoso con
depressione respiratoria ed ipotensione arteriosa grave. Da considerare, inoltre, il rischio di aritmie ventricolari, associate possibilmente a prolungamento dell’intervallo QT dell’elettrocardiogramma. Pertanto è necessario il monitoraggio della funzione cardiorespiratoria ed ECG.Per il trattamento dei sintomi da sovradosaggio si deve praticare la lavanda gastrica o l’induzione del vomito e quindi una terapia a base di amfetamina e L-DOPA, alla quale può far seguito una terapia di sostegno: respirazione artificiale o meccanica, intubazione o tracheotomia, infusione venosa di plasma o albumina concentrata o di agenti vasopressori quali dopamina o no-radrenalina (non adrenalina), farmaci antiparkinson, farmaci antiaritmici per le gravi aritmie.

Purtroppo, non c’è altro da aggiungere.
Per consultare bibliografia in merito si veda l’altra mia nota: “Il ciclo iatrogeno dell’industria farmaceutica”.

                                                                              Bruno De Domenico 7  2  2011

                                                                         

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