mercoledì 29 agosto 2012

Psico-recensione di "Reign Over Me"


Psico-recensione di “Reign Over Me”, (M. Biden) Scuola “F. Besta”, a.s.  2011/12, prof. De Domenico

Scena del puzzle: il puzzle è chiaramente una metafora della vita. Tutti i pezzi dovrebbero andare a posto. Oppure non troviamo qualche pezzo. Oppure: finalmente abbiamo capito come incastrare i pezzi.
Questo film parla di come la vita dei protagonisti siano andate in pezzi, (una di più, l’altra meno) e di come si ricompongano.
Da un insieme di scene capiamo che il matrimonio di Alan è in crisi.
Fa la posta alla psicologa e non è minimamente interessato ai discorsi della moglie.
Anche del puzzle, che in teoria fanno insieme, – ovvio simbolismo della coppia, – 
si libera felicemente appena se ne presenta l’occasione.
“La valle. Più che altro un’altra dimensione. Tu intraprendi il viaggio e scopri te stesso”. Charlie Non si ricorda dell’amico con cui pure aveva condiviso la stanza per un anno. Va in giro per la strada con un monopattino elettrico, cosa di per sé ecologica, ma lo fa in modo incosciente, per la cuffia che lo estrania completamente dal mondo circostante. Mettendo insieme queste stranezze con l’informazione che già abbiamo che la sua famiglia è andata distrutta nell’11 settembre, lo sceneggiatore ci informa subito della tragedia dell’amico, e in questo modo del tema del film.
Si trova, come lui stesso dice, “in un’altra dimensione”. Attraverso i suoi deliri è come se Charlie lo informasse della sua follia. E’ come se gli dicesse: “Vuoi davvero ficcarti in questo tunnel della mia pazzia?”
Ma dopo che Alan continua a dimostrare interesse lo fa salire a casa e si rintana nel suo gioco autistico. Quando è con lui, e solo quando è con lui, sta senza cuffie. E’ già un piccolo miglioramento, un segno di apertura al mondo, anche se in questo caso il mondo è solo l’amico.
Attraverso la suocera, che oltretutto ci serve a scoprire la storia di Charlie, scopriamo che la vita di Charlie è stata cosparsa di tragedie luttuose: la perdita prima di entrambi i genitori, da piccolissimo, poi della zia che lo aveva adottato. L’ultima tragedia che lo ha precipitato nella follia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
La scena in cui lui arriva improvvisamente a casa e chiede alla moglie il permesso di uscire per l’amico, la risposta di Alan e l’occhiata della moglie sono una ironica ma profonda escursione nei sottili e instabili equilibri familiari che Charlie si accinge a sconvolgere sempre di più.
Avendo constatato la volta precedente che non può chiedergli della sua vita, Alan approfondisce l’amicizia parlandogli dei suoi reali problemi. In questo modo riconquista la sua fiducia e contemporaneamente riesce a superare un rapporto formale e fasullo da un lato, pietistico dall’altro.
La scena in cui Charlie resta completamente insensibile persino rispetto alla morte del padre di Alan rivela l’egoismo folle in cui si è chiuso, ma anche la sua rigida negazione della morte dopo i lutti che lo hanno colpito.
Andare alla maratona di Mel Brooks trascurando completamente i doveri familiari e lavorativi dimostra che Alan ha ormai perso l’equilibrio tra il desiderio di aiutare l’amico e la sua vita privata. Ma è potuto succedere anche per la sua insoddisfazione, sia in famiglia che nel lavoro. “L’ho fondata io e mi trattano come un dipendente!”
Dopo aver scoperto che dovrà sopportare i parenti e amici di Alan Charlie si rimette le cuffie e rientra nel suo mondo autistico. L’impatto con gli altri è troppo forte.
La scena in cui lui è nella sala di lavoro del dentista, surreale, è indicativa di come lui abbia completamente perso la capacità di frenare il suo amico e si faccia completamente invadere, così come sta avvenendo in famiglia.
Già era in crisi, ma non voleva ammettere le sue difficoltà. Invece, nelle discussioni all’inizio del film si vedeva che lui non aveva più nessun entusiasmo con sua moglie. La coppia non c’era più.
“Posso dire una cosa Charlie? Potrei farti arrabbiare di nuovo”.
Si chiama tecnica dell’anticipazione: mettendo l’altro sull’avviso che quello che si dice potrebbe non piacere lo si prepara e se ne riduce la portata “trasgressiva”, si stabilisce con lui un implicito accordo: te l’avevo detto che poteva non piacerti, ma tu hai scelto di ascoltare. Lei ricorda onestamente che se non arriva mai a parlare della sua famiglia si sta solo prendendo in giro. Cosa che sarebbe sicuramente remunerativa e comoda per lei, come psicoterapeuta, ma la sua onestà e professionalità la fa parlare con chiarezza, a costo di perdere il paziente.
Dopo che Alan ha detto che non accetterà più di essere trattato come un dipendente da quelli stessi che si stanno arricchendo grazie al suo lavoro, spinto dalle parole di Charlie: “Eri uno che non accettava mai i soprusi”, Charlie gli ricorda che forse non si stava ricordando proprio di lui, ma di un altro con questa caratteristica. Sembra solo uno scherzo, una gag, ma ci comunica che ognuno di noi si comporta e reagisce non solo a quello che gli altri fanno, ma all’immagine che noi crediamo gli altri si siano fatti di noi. In qualche modo è come se noi ci sentissimo in obbligo di mantenere un cliché che gli altri hanno delle nostre caratteristiche positive (ciò che vale anche per la cosiddetta reputazione), e in genere smentire quelle che sono percepite come nostre caratteristiche negative. Ma in psicologia le cose sono ben più complesse: spesso, senza rendercene conto, siamo spinti a mantenere negli altri anche le idee negative che gli altri e noi stessi abbiamo su di noi: deboli, malati, depressi, incoscienti, irresponsabili, ecc. Talvolta questo ci solleva da responsabilità e ci procura diversi vantaggi, anche se questi ci chiudono in realtà in una gabbia dorata.
L’abilità dei terapeuti consiste anche nel cambiare le immagini che noi stessi abbiamo di noi.
Scena del processo: l’avvocato dello Stato, che richiede di far internare Charlie in una struttura psichiatrica, proprio allo scopo di evidenziare la follia sua, con evidente sadismo, gli sottopone le foto delle bambine morte, sapendo che lui ha sempre fatto di tutto per dimenticarle. Il genero, che non riesce a capire il dolore e la reazione, pur patologica, di Charlie, considera grettamente la sua incapacità di ricordare come una semplice mancanza d’amore, una sorta di menefreghismo.
Alla fine i pezzi delle varie vite in pezzi, quella di Charlie e della sua paziente instabile, saranno ricomposti.                        

“Thank you for smoking” su you tube

Psico-recensione di "Yes Man"


Corso di “Psico-cineforum”, Scuola “F. Besta”, a.s.  2011/12, prof. De Domenico
Psico-Recensione di “Yes Man”, di Peyton Reed.

“Non lavorerai ancora in banca?”
“Sarai diventato il padrone della banca almeno!”
L'amico presuppone nella vita di Carl un dinamismo, dinamismo che lui ovviamente non ha. Anzi, è il massimo della stagnazione.
La scultura che lo sovrasta tende a schiacciare il protagonista, sembra addirittura puntargli una pistola alla testa.
Sasso contro la vetrina della banca, e fuga gioiosa à per comunicargli fino in fondo quello che vuole dire l’amico non disdegna neanche di mettersi nei guai: sa che l’esempio vale più di ogni chiacchiera, come diceva Seneca.
Il sogno: vivere come morti è come essere già morti. Similmente dice un proverbio indiano: "Non amare è un lungo morire".
Il sogno lo scuote più di qualunque altra cosa, di qualunque ramanzina degli amici.
Il “guru” del SI’ è vestito di bianco, colore che riflette tutti gli altri.
“Non puoi osservare la vita!” Tutta la convention del “yes”, i cori di sì e “no man” danno molto l'idea dei gruppi americani televangelisti o i nuovi culti della mente, alcuni dei quali veramente pericolosi. Ma non sarà questo il caso di Carl.
“Tu dici di no alla vita e quindi non stai vivendo!”
Segue una descrizione precisa della putrescente vita di Carl.
“Non riesci nemmeno a trovare l'entusiasmo per masturbarti!” Comica ma acuta osservazione psicologica. La descrizione precisa della sua vita lo ipnotizza.
Scena dell'ubriacatura: lo stato di coscienza in cui viviamo è fondamentale nel nostro rispetto delle regole, la sottomissione al potere, eccetera. Per questo in genere la religione – e in particolare quelle monoteiste – dettano delle precise regole in materia di sessualità, alcolici e droghe, finalizzate a farci permanere in uno stato di coscienza cosiddetto “ordinario”, cioè quello in cui più siamo portati a osservare le regole, uno stato di coscienza tra i tanti possibili. Quello del sogno o del confine tra sonno e veglia sono stati di coscienza diversi, per esempio.
L'alcolismo è una delle terribili piaghe della società, e guidare avendo bevuto anche solo un po' di vino o di birra di troppo può dare luogo a tragedie per noi e per gli altri, ma nel caso di Carl, al ristorante, cambiare il suo abituale e mortifero stato di coscienza è un’ esperienza positiva, dopo tanto appassire.
"Che cosa c'entro io? - Beh, sicuramente qualcosa centri! Se no non ti saresti preso il cazzotto. Non bisogna dire mai che cosa c'entro!”
È delineata in queste poche righe la teoria orientale del karma secondo la quale ogni cosa che ci succede ha la sua causa in qualcosa che abbiamo creato/fatto nel passato.
“È stata un'esperienza positiva”. La saggezza orientale (e non solo) ci insegna a vedere dei maestri anche nelle persone/eventi/difficoltà che ci fanno più male e che troviamo più insopportabili, negativi, eccetera. E ricordiamo che il Tantra, altro sentiero orientale, è considerata una “via del sì”.  
La scena del sesso con la vecchia è abbastanza ripugnante e sicuramente non commerciale, ma a me fa supporre una certa onestà intellettuale dello sceneggiatore.
Esilarante il pezzo totalmente clownistico delle facce buffe.
La scena dei vari “sì” agli annunci: non sono casuali (perché la lingua coreana? Perché la sposa persiana? Perché la chitarra? Tutti questi si contribuiranno a creare l'intreccio che andrà sviluppandosi à “Non l'avrei incontrata se non avessi detto sì a quel senzatetto”. Noi tendiamo sempre a scindere cartesianamente la vita in eventi positivi e altri negativ, siamo stati abituati così, come i contabili con le entrate e le uscite, ma dimentichiamo che essi, gli eventi e le loro conseguenze, sono sempre legati tra loro.
La scena dell’eviscerazione dei polli: una scena di violenza reale connessa alla nostra vita quotidiana, molto più concreta di tante scempiaggini che ci parlano di vampiri, di alieni, di eroi che salvano il mondo da meteoriti, eccetera.
Altro spunto offertoci per riflettere, così come quello sull’omosessualità: la frase dell'amico che vuole comprarsi la moto per non sembrare più bei più gay ci rimanda all' omofobia.
Quando lei gli parla della convivenza c'è una enorme corda alla destra del protagonista. E lui sembra sentirsi soffocato. Probabilmente non è un caso.
L’accusa di essere una spia da parte dei funzionari dell’FBI implica una critica sarcastica nei confronti delle nostre routine, della nostra monotonia, del nostro muoverci in gregge, dei nostri pacchetti commerciali preconfezionati: Carl impara il coreano, una lingua non utile per motivi commerciali, non molto diffusa, e il fatto che  “si fidanzi” con una coreana, dati gli scontri diplomatici degli USA con la Corea del Nord, è per loro la dimostrazione che lui sia un traditore. Carl viaggia in uno stato degli USA disertato e ignorato dagli itinerari tradizionali, che si ritiene non abbia nulla da offrire: già questi pochi elementi indicano all’FBI che lui sia un sovversivo, un terrorista.
Prima, quando la sua vita era una lunga sequela di piagnistei e giorni tutti uguali l’uno appiccicato all’altro, era considerato “normale”.
L’ultima scena, solo alla fine della sigla, in cui lui con la fidanzata corre in autostrada su queste tavole con rotelle, è una piccola chicca del regista, è come dire: un film si guarda fino all’ultima didascalia, e solo chi di voi avrà il gusto e la pazienza di farlo riuscirà a vederla. Ma è un esperimento da non imitare: ovviamente nel film la strada era stata bloccata, altrimenti l’impatto con delle auto sarebbe stato inevitabile!

Psico-recensione de "I 100 passi"


Corso di “Psico-cineforum”, Scuola “F. Besta”, a.s.  2011/12, 
prof. De Domenico
Psico-recensione de “I 100 Passi”, di M. T. Giordana


I 100 passi
La scena ci annuncia subito una biografia. Notate che nella voce c’è un eco che dà un sapore di antico, insieme alla radio in sottofondo. Altrettanto immediato è l’impatto con la figura autoritaria del padre che si preoccupa innanzi di non fare brutte figure.
Anche la canzone, e i caratteri delle didascalie rimandano a un tempo lontano, delle macchine da scrivere anziché di internet.
“Brindo a Cosima, che bella com’è ti verrà facile a fargli fare molti figli!” Rudezza che a noi suona comica e volgare ma normale in un contesto antico, siciliano e di campagna.
“Certo che ci vogliono i piccioli, e noi ce li faremo dare dalla Regione”. Già questa frase, da sola, contiene e preannuncia il tema o uno dei temi del film: il connubio, che purtroppo diverrà sempre più solido nella storia d’Italia, tra mafie e politica.
Le ripetute inquadrature del cruscotto non ci sarebbero state se non per annunciare la scena dell’esplosione. Lo zio vuole bene a Peppino, gli insegna a guidare l’auto. E’ mafioso anche lui, in realtà, ma Peppino lo ama, e il futuro Peppino finirà con lo scagliarsi contro il mafioso Badalamenti che gli ha ucciso lo zio, pur mafioso, a cui voleva così bene.
Nel film traspare come gli elementi razionali e politici non siano gli unici a determinare la storia di Peppino, così come le nostre: gli elementi affettivi, viscerali sono almeno altrettanto importanti. Il suono del clacson è una “citazione” che ci rimanda ineluttabilmente a un capolavoro degli anni ’50: “Il Sorpasso”.
La scena della macchina che finge di investire i vecchi: Tano è l’unico che non accetta il gioco di Peppino e dello zio. Dietro lo scherzo e il sorriso si rivela una profonda insofferenza reciproca. Nei commenti sulle auto che ‘si sono fatti’ questa e quella famiglia e le relative frequentazioni si evidenziano alleanze e lotte tra le future cosche mafiose.
La scena del barbiere è tipica dei film di mafia, e Peppino che gira sulla poltrona ci ricorda una scena di un altro indimenticabile film: “Il Mafioso”, in cui un corpo crivellato di colpi, ormai privo di vita, continua a girare con la sedia.
“Non è a loro che sto parlando, che hanno paura a farsi vedere che stanno ascoltando.
E’ a te, che lo voglio spiegare”.
La piazza vuota durante il comizio, anche se fortunatamente non storicamente realistica,       
è un tragico affresco dell’immobilismo e del conformismo siciliano, pur così coraggiosamente contrastato da uomini come Venuti, poi da Impastato e in futuro da tanti e tante giovani come lui.
Molti lo ascoltano ma nessuno sta in piazza per non essere considerato un seguace o amico del “comunista”, l’unico che scende in piazza è lo zio di Tanino, mafioso ma simpatico e bonario, lo fa per schernirlo e come segno di forza, mostrando di non temere le sue invettive. “E’ il progresso amico bello, che porta posti di lavoro, casa, turismo…” Sembra di sentire esattamente le stesse parole degli odierni sostenitori della TAV, dell’energia nucleare, della cementificazione ad ogni costo, sempre senza mai rispondere nel merito alle accuse e alle argomentazioni contrarie.
Badalamenti racconta alla vedova delle autorità che non sono venute al funerale dello zio di Peppino arrecando varie scuse. In realtà tutto collima con quanto Venuti aveva preannunciato: tutti si erano messi d’accordo alle sue spalle e Manzella era divenuto un elemento d’intralcio.
Manzella perì davvero, storicamente, in quella che venne definita come la prima guerra di mafia. Andare o non andare a un funerale, in ambienti mafiosi, ha una forte significazione politica.
Magistrale la scena in cui Peppino va a Trovare il “comunista”, Stefano Venuti.
Prendendo spunto dal ritratto di Majakovskij, il pittore comunista lo farà innamorare della politica e delle lotte sociali, che si salderanno, inconsciamente per Peppino, al suo odio per la mafia che gli aveva ucciso brutalmente l’amato zio, pur altrettanto mafioso. Il riferimento a Majakovskji non è casuale. Come quest’ultimo, grandissimo poeta e dissidente della rivoluzione russa, ucciso o “suicidato” dal regime, anche Peppino sarà un ribelle rispetto alla sinistra istituzionale e al sistema consociativo dei partiti, e ahimè anch’egli verrà ucciso in modo da far sembrare l’accaduto un involontario suicidio.
“Se lui se la fa con questi morti di fame dei comunisti, io l’ammazzo!”
E’ espressa molto esplicitamente l’idea del padre all’antica: se mio/a figlio/a mi disonora, in un modo o nell’altro, perché “puttana”, o “frocio”, o “comunista”, è preferibile la morte.
I figli non sono amati e accettati per quello che sono ma per il lustro che devono dare al padre. Mirabile anche la scena in cui Peppino convince Venuti a stampare il suo giornale, citandogli la poesia di Majakvoskji, colpendolo nell’intimo, facendo appello alla sua coerenza. Dopo che la madre ha ritirato tutte le copie del giornale, Peppino sceglie la piazza, l’agorà. Urla al mondo intero il suo dissenso dalla famiglia, dal mafiosismo, dal campanilismo, da tutte le gabbie che ci impongono di vivere sempre come gli altri vorrebbero, seguendo un’ideologia o un credo che non ci appartiene. Il film di cui scorre qualche scena, “Le mani sulla città”, di Francesco Rosi, è una memorabile denuncia della cementificazione d’Italia, a braccetto con la corruzione politica, che continua ancora oggi senza tregua a distruggere l’ex Belpaese.
Scene come quelle della fotografia o del ballo, apparentemente irrilevanti, servono per rompere rispetto alla cupezza dei film e a restituirci l’allegria di una gioventù comunque solare piena di vita e di fiducia, senza le quali nessun impegno sociale sarebbe stato possibile.
“Bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza…” Ricordate “La bellezza salverà il mondo” di “Le vite degli altri?”
Nella scena sotto il Comune Peppino prende apertamente le distanze, in quanto avverso agli interessi mafiosi, sia dal padre che dall’amato zio ucciso, sicuramente con un forte costo emotivo.
Significativo che Peppino Impastato apra Radio Out, mezzo indipendente, utile nella lotta sociale, più o meno negli stessi anni in cui Berlusconi, già costruttore di successo, cominciava a costruire il suo impero televisivo, con cui si arricchirà più che mai con trasmissioni come “Amici” e “Il Grande Fratello”, “Paperissima” e via dicendo. Due modi diversi di intendere la comunicazione, e la vita. Nella scena in cui il padre di Peppino è convocato da Don Tano, Peppino parla in pochi minuti di: speculazione edilizia, prostituzione, droga, riciclaggio di denaro sporco e legami con la mafia americana, corruzione e peculato, tutti temi ahimé ancora attualissimi.
Nel richiamo di suo padre al comandamento: “Onora il padre” viene evidenziata l’interpretazione mafiosa della religione. Il figlio dev’essere dalla parte dei genitori, qualunque cosa facciano, nel bene o anche nel male.
Nella poesia in cui si parla dell’amore tra madre e figlio sembra rivelarsi una traccia edipica, come affermerà poi il padre riferendosi a Peppino come al “Re”. Peppino è molto legato alla madre, e anche lei a lui, tanto che, quando il marito/padre va negli USA per chiedere aiuto ai parenti d’oltreoceano, lei trasgredirà la sua volontà riaccogliendo il figlio in casa.
Il fricchettone si pone in modo totalmente arrogante con Peppino: “Questi sono dettagli, la stoffa c’è!” “Un’esperienza come Radio Out può essere molto aiutata dalla nostra comune!”
La vicenda del rapimento Moro è stata inserita nel film sia perché direttamente connessa all’estrema sinistra e alle commistioni/collusioni tra servizi segreti italiani e americani, massoneria, ecc. Sia perché Peppino venne ucciso negli stessi giorni di Moro, probabilmente non per caso, ma per rendere l’evento irrilevante rispetto al contesto nazionale.
Il rapimento Moro equivalse, per il suo clamore, all’11 settembre, o all’omicidio Falcone.
La scena del bar: il meccanismo della criminalizzazione ed equiparazione tra i comunisti di Cinisi e le brigate rosse è analogo a quello odierno che accomuna tutti gli avversari dell’imperialismo USA ai talibani e ai terroristi. E’ il tipico meccanismo “patriottico” per cui chi non si schiera col proprio Paese, quale che sia, (anche quando invasore, mafioso, razzista, clericale, ecc.) è un traditore e un nemico.
La criminalizzazione (o anche psichiatrizzazione – in qualche modo presente col riferimento al suicidio) di chi si oppone al potere è un fenomeno comune, da sempre. Se poi il criminalizzato è pure morto, meglio, perché non può dire niente. Naturalmente il più delle volte è una cosa premeditata a tavolino (atto terroristico e poi addebitamento di crimini), ai livelli più disparati. Si pensi alla strage di Piazza Fontana, a Valpreda e Pinelli, a Sacco e Vanzetti, alle “psicosi revisioniste” sovietiche. Il regime nazista accusò e uccise un giovane socialista di avere incendiato il Reichstag, e lo assassinò, innocente, e con questa scusa instaurò formalmente la dittature e abolì ogni libertà d’espressione.
“Lui non c’entra” e “per i funerali è meglio che tu resti a casa” sono due tipici messaggi contraddittori in stile mafioso. Come già detto, la partecipazione a un funerale o no significa l’appoggio alla sua opera o il suo disconoscimento.
                            
Thank you for smoking

Psico-recensione di "Le Vite degli altri"


Corso di “Psico-cineforum”, Scuola “F. Besta”, a.s.  2011/12,
prof. De Domenico
Recensione di “Le vite degli altri”, di Florian Henckel Von Donnersmarck

Invece al cinema quando si riguarda per la decima volta… un film che ormai si conosce a memoria… si comincia ad analizzarlo nei dettagli e si impara molto
Francois Truffaut

Hauptmann Gerd Wiesler = agente della Stasi
Christa-Maria  = l’attrice teatrale
Laslo Georg Dreyman = lo scrittore-sceneggiatore
Oberstleutnant Grubitz = il diretto superiore di Wiesler
Minister Bruno Hempf = il ministro
Paul Hauser = regista estromesso
Albert Jerska = il regista estromesso


L’inizio è una scritta bianca su sfondo nero, e ci informa dell’ambientazione, del momento storico. La Glasnost è il processo di trasparenza avviato da Gorbaciov, allora presidente dell’Unione Sovietica, che portò la trasformazione delle dittature pseudo-comuniste (in realtà con un regime di capitalismo di Stato) in democrazie più o meno liberali e liberiste, seppure contro il suo volere, con tutti i pro e i contro del caso.
E’ un avvio che ci annuncia uno stile sobrio, documentaristico, ci ricorda che parla di storie vere, anche se questa in particolare è inventata, ma sicuramente non inverosimile. Nei contenuti speciali del film il regista ci dice che la moglie dell’attore protagonista, (Wiesler), con la quale aveva avuto un figlio, era un’informatrice della Stasi.
La scritta è stilizzata secondo i caratteri delle vecchie macchine da scrivere, questo
ci rimanda a un nodo cruciale del film.
Il dialogo che segue è un piccolo capolavoro di illustrazione di tecniche di lavaggio del cervello:
-         Non ha fatto niente, non sa niente. Di conseguenza crederà che noi arrestiamo integerrimi cittadini per puro capriccio.
-         No, io…
-         Se ci considera così poco rispettosi dei diritti umani avremmo fatto bene ad arrestarla anche se non ha fatto niente.

Questa affermazione pone l’interrogato in una condizione paradossale, senza via d’uscita: o l’interrogato si confessa colpevole, o si dichiara innocente, ma anche in tal caso rivelerà la sua colpevolezza, perché se dubita così fortemente del suo Sato è chiaro che ne è nemico. La comunicazione paradossale è stata a lungo studiata dagli psicologi (e non solo) sistemici, Watzlawick, Beavin, Jackson e altri in “La pragmatica della comunicazione”, definendola come una delle concause che, a lungo protratte nelle famiglie, pur senza il volere dei genitori, può portare a gravi disturbi psichiatrici, schizofrenia compresa. Essa però può essere e viene utilizzata anche nella cura, stabilendo un “doppio-legame terapeutico”.
Quando uno degli studenti, rendendosi sospetto, chiede francamente se non sia disumano tenere sveglio così a lungo il detenuto, Wiesler segna il suo cognome: anche lui potrebbe essere un nemico. Poi risponde:
-         Un innocente diventa tanto più furioso quanto più a lungo prolunghiamo il suo fermo, perciò grida e minaccia. Col passare delle ore il colpevole diventa più tranquillo. Non parla, o piange. Sa che l’arresto è giustificato. Quando si vuole capire se qualcuno è innocente o colpevole il modo migliore è continuare a interrogarlo finché non ne può più.
Ancora, l’interrogato è considerato colpevole in quanto ripete sempre le stesse cose.
Qualunque cosa faccia, l’interrogato è colpevole. Non viene considerato il fatto che in uno stato dittatoriale gli amici di chi è appena fuggito si sentirebbero comunque indiziati di averlo aiutato, e sarebbero terrorizzati di essere stritolati in una macchina oppressiva. E’ un meccanismo molto simile a quello dell’Inquisizione medioevale e rinascimentale (sono state bruciate più “streghe” ed eretici dal ‘500 in poi, per contrastare la Riforma): o la strega confessava, oppure, se ancora non confessava, dopo tante torture, era segno che certamente il diavolo la stava aiutando: infatti torturarla fino alla morte e finché confessava e rinnegava il demonio era, dal punto di vista degli inquisitori, nell’interesse dell’anima della strega.

Quando Grubitz lo va a trovare, Wiesler lo apostrofa schiettamente: “Cosa ti serve?” …. Sa già dove il superiore vuole arrivare. Sa che non è un amico e che se è andato a trovarlo c’è un motivo “concreto”.
Scena del teatro: la caratteristica più bella del film è che si svolge su almeno tre piani di recitazione, che corrispondono ognuno a un livello di realtà:
1)    il piano più ovvio in ogni film: il fatto di dover recitare per raccontarci la loro storia.
2)    il piano della recitazione teatrale all’interno del film (il teatro nel film);
3)    il piano della storia del film (sceneggiatura), che descrive l’evolversi della vicenda, in cui ognuno deve recitare una parte davanti agli altri per averne dei vantaggi e soprattutto per non subire degli svantaggi;
Il film è strutturato in modo che questi diversi piani si mescolino continuamente tra di loro, coinvolgendo anche noi nel dilemma: quanto, giorno per giorno, siamo ‘veri’, e quanto recitiamo?
Per semplificare: se sono un attore e saluto uno perché è un regista, anche se mi è antipatico e non vorrei salutarlo, sto ‘recitando’ nella vita reale. Se lui poi mi dà una parte teatrale, dovrò recitare in questa parte secondo dei canoni teatrali, quindi sarà come scendere a un altro tipo/livello di recitazione. Se infine all’interno nella commedia o dramma teatrale si parlasse e si inscenasse la costruzione di un film avremmo un altro livello ancora. Chiamasi quest’ultima modalità: “Il film nel film”, dove la narrazione per lo spettatore si intreccia con una ulteriore narrazione all’interno del film, subordinata a quella principale.
Alcuni esempi di “film nel film”: “Effetto notte” (Truffaut), “Otto e mezzo” (Fellini) e “Il Caimano” (Moretti). Qui, come nel capolavoro:“Vogliamo vivere”, di Ernst Lubitsch, abbiamo il teatro all’interno del film.

Nella prima scena svoltasi nel teatro abbiamo un esempio dell’intrecciarsi di questi livelli: Grubitz, il diretto superiore di Wiesler, ha appena detto che Georg Dreyman è sicuramente “pulito” da ogni sospetto. Poi, appena presentatosi al ministro, comincia con la retorica di partito, che invece non usava col suo subordinato.
“Siamo scudo e spada del partito”! E quando quello gli chiede di Georg dice subito l’esatto contrario di quanto ha affermato poco prima, per soddisfare la sottintesa richiesta del superiore. “Se troverà qualcosa contro di lui avrà un grande amico nel comitato centrale”. Georg è già condannato. Non importa la verità, se sia innocente o colpevole: bisogna trovarlo colpevole, e Grubitz ne avrà dei vantaggi.
Il ministro Bruno Hempf  interrompe bruscamente la musica e la danza di Georg e di Christa-Maria: è rivelatore e annuncio di quanto avverrà nel film. Egli è viscido, rozzo, non ha alcuna armonia, gentilezza, delicatezza, sa solo avvalersi del suo potere per imporre i suoi istinti più elementari con meschinità e prepotenza.
Hauser ricorda che la definizione di “ingegnere dell’anima”, con tanta enfasi appena ricordata dal ministro, è di Stalin. E’ ovvio che c’è del sarcasmo in questa osservazione. Hauser, in tal modo, gli ricorda che è uno stalinista.
Il dialogo tra Georg e Hempf  rivela già il compromesso in cui si trova a dibattersi. 
Ha accettato di far dirigere la sua opera da un regista accettato dal regime, perché il suo amico ha subito un “divieto di lavoro”, espressione ufficialmente vietata e che si lascia scappare.
In sequenza vediamo una scena della triste, deprimente, squallida vita di Wiesler, che  ascolta i telegiornali di regime, mentre mangia, solo, in una casa cupa e deprimente quanto lui, e subito dopo Georg Dreyman, lo scrittore, che gioca gioiosamente coi bambini, e poi corre dalla fidanzata.
Le due scene si svolgono in tempi diversi, una di sera, l’altra di giorno, proprio per indicarci che la messa in sequenza dei due momenti non è dovuta a necessità narrative del racconto, ma proprio all’intento del regista di confrontare i due protagonisti.

19° minuto: immagini “in soggettiva”, perché viste dai vicini, dallo spioncino della porta. (poi in modo più evidente nel 21° minuto)

21:22 immagine molto piccola e oppressa e circondata da travi che sembrano incombere su Wiesler, annunciano una situazione di difficoltà.
Jerska condivide la casa con altri perché non può permettersi di vivere da solo: la sua condizione lavorativa influisce pesantemente anche sulla sua quotidianità e vita intima.

25° minuto: “Ho parlato con lui della tua situazione, non la vedo così male, mi ha dato delle speranze, speranze molto concrete”.
Qui Georg deve recitare a più livelli:
1) il livello più elementare: recitare come attore in un film,
2) recitare una parte, nel senso di mentire con l’amico Jerska. Questa esigenza gli nasce spontanea dal vedere la sua disperazione. Gli dice che ci sono delle speranze che lui torni a lavorare, ma sa che non è vero.
3) Per poter dire la bugia all’amico egli deve prima di tutto mentire a se stesso.
Quindi in questi momenti vediamo un attore che in un film recita per noi nel ruolo di un uomo che sta recitando per dare una falsa speranza a un amico, e che per convincersene deve anche recitare nel senso di mentire a se stesso.

Quando Maria Christa gli chiede se Jerska verrà alla festa lui risponde che ha dimenticato di chiederglielo: in realtà anche lui è combattuto, ma al momento è più incline a servire il potere e a non mostrarsi troppo vicino ai dissidenti, quindi, “freudianamente”, dimentica di rinnovargli l’invito alla festa. (Atto mancato)
La cravatta: non la indossa perché è un simbolo della borghesia.
E’ un modo semplice ed efficace per dire che lui non “recita la parte del socialista”: ha realmente degli ideali socialisti. Il piccolo episodio del nodo alla cravatta è un altro modo per raffigurare come tutta la nostra vita sia costellata di piccole bugie innocenti anche con le persone che amiamo.
“Credo di conoscerti e tu riveli qualità nascoste”.
-         E non sai quante altre ne nascondo.
Altro accenno all’illusione di conoscere l’altro che subito dopo si rivelerà in una forma più drammatica: Maria prende psicofarmaci di nascosto al fidanzato.

Hauser: “Prima o poi dovrai prendere una posizione, se sei un uomo”.
L’amico gli rinfaccia apertamente la sua ipocrisia e la sua compiacenza verso il potere. Subito dopo Georg apre il regalo di Jerska: lo spartito “Sonata per le persone buone”.
Anche qui abbiamo in sequenza il richiamo a una definizione precisa: le persone buone. E’ una posizione chiara e semplice che sembra voler fare piazza pulita di tutti i sofismi, i relativismi, tutte le filosofie che in nome di soggettivismi, giustificazioni e contestualizzazioni varie rifiutano di definire ciò che è bene, e “i buoni” che lo seguono, e ciò che è male, e dunque i “cattivi”.

“Perché qui? Il tavolo dei dirigenti è laggiù!”
-         “Cominciamo a comportarci da buoni socialisti”.
In queste parole c’è tutta la psicologia di Wiesler e del suo superiore.
Grubitz vuole godere del suo status di privilegiato, Wiesler, invece, coerente coi dettami del socialismo, che esclude la divisione della società in classi, rifiuta ogni privilegio.

“Aiuteremo un membro del comitato centrale a liberarsi dei suoi avversari”

Poi gli ricorda che questo aiuterà entrambi nell’avanzamento di carriera. Implicitamente gli ribadisce di trovare qualunque cosa a carico di Georg.
L’unico vero avversario del ministro è il povero Georg, solo perché lui è amato dalla donna che il ministro ricatta. L’affermazione di Wiesler sullo scudo e spada del partito, e la risposta di Grubitz, sono entrambi ormai persino didascaliche, cioè illustrano in modo fin troppo esauriente l’anima idealista di Wiesler e quella opportunista di Grubitz.
La scena al 38° minuto è un altro ineffabile gioco di specchi: l’agente della Stasi viene colto in fallo dal superiore a deridere lo stesso apparato di potere che serve, il superiore lo esorta a continuare la barzelletta, l’agente continua, fingendo buon umore solo perché costretto. Il superiore prima ride, poi lo minaccia, rientrando nel ruolo di difensore del partito, ma forse più per il gusto di umiliare e minacciare un altro essere umano, poi ritorna a scherzare e a recitare la parte del superiore comprensivo. Ma si è informato sul nome dell’agente, quindi è come se lo avesse reso più vulnerabile. Il subordinato non potrà sapere, se non accorgendosi delle conseguenze, se e quando il ministro lo denuncerà. E comunque sentirà sempre questa nuova minaccia incombente. Un illustrazione in piccolo di come funziona il potere negli alti livelli della politica, coi ricatti e coi dossier, e non solo nelle dittature. 
Vi consiglio vivamente di ascoltare tutti i contenuti speciali del regista in cui lui descrive i mille retroscena, motivazioni, decisioni e problemi di ogni scena, ma vi riporto, per farvene un esempio, solo queste righe:
“Ho dovuto lottare duramente per questa scena – spiega che ogni scena costava di più e il budget era limitato, la casa di produzione gli chiedeva di tagliare questa ed altre scene non direttamente necessarie alla storia, come quella del bambino con la palla…
       “… ma secondo me il lusso comincia dove finisce il necessario. Volevo che questo film fosse lussuoso e che mostrasse la bellezza e la vastità della vita. Volevo che il pubblico avesse la sensazione che vivere è interessante e che è meglio vivere che uccidersi. Perciò dovevo dare al pubblico più del necessario per capire la storia. Questa scena era importante per me e quindi ho lottato per lei come un leone ferito!”

La scena dello stupro: non si può che definire così perché è evidente che Maria è costretta a prostituirsi col ministro sotto il ricatto di non lavorare più né lei né il suo uomo.
La viscidezza e disgustosità del ministro appaiono in tutto il loro orrore: dopo aver costretto Maria a salire le dice che lui si preoccupa “del suo bene”, ma se lei non acconsente lui gli impedirà per sempre di lavorare, e per giunta ipocritamente le dice che se vuole può scendere. Maria mostra con la sua tensione e coi movimenti di tutto il corpo la sua opposizione e il suo ribrezzo viscerale verso il ministro.
Dopo essere stata costretta a un rapporto sessuale dal ministro si lava per attutire la sensazione di essere sporca dentro. Georg è distrutto dalla presunta verità che ha scoperto. Non sa in realtà che lei è ricattata e accetta tutto anche per il suo bene di lui.
Ne nasce un solco tra i due che si protrarrà per tutto il film.

La scena della prostituta. Perché il regista sceglie una prostituta brutta e grassa?
Dobbiamo credere che nella Germania dell’Est non esistessero prostitute belle? O che i dipendenti dello stesso ministero dell’interno, (o l’equivalente) non potessero permettersele? No. Il regista sceglie di girare questa scena così per indicarci lo squallore psicologico ed esistenziale in cui versano quegli uomini e in genere tutti gli uomini (e le donne) al servizio di un potere malvagio e tirannico. Anche per questo la donna dice che era già dentro il palazzo dei dipendenti del Ministero, che non avendo alcuna attrattiva e nessun fascino per attirare donne non mercenarie, si devono accontentare di prostitute, o peggio ricorrere ai ricatti e alle minacce, come il ministro stesso.
Wiesler chiede alla prostituta di restare anche dopo la fine del rapporto, per cercare almeno un residuo di rapporto umano, che non ha con nessuno e con nessuna.
E’ il profilo psicologico di un uomo totalmente e desolatamente solo, chiuso nella sua ideologia.
La poesia di Brecht: la bellezza ormai si è insinuata come in un virus nella mente di Wiesler, rappresentata tra l’altro dalla soffitta in cui lui è costretto a fare i conti con se stesso, col suo inconscio, col fatto di stare servendo un potere che scopre sempre più meschino e indifendibile, sempre più lontano dagli ideali in cui credeva.
Perché mentre legge non ha un cuscino? E’ una posizione visibilmente scomoda, che indica il suo disagio interiore, la sua lacerazione interiore, che egli tuttavia accetta, Perché è uno e che crede in quello che fa, e quando comincia a non crederci più vuole andare fino in fondo. Inoltre è un duro, uno abituato ai sacrifici in nome di ideali più elevati. L’ideale che sta seguendo, in quel momento, è la bellezza e la purezza, anziché un finto comunismo.

51° minuto: mentre Laslo Georg suona la sonata per le persone buone, dopo avere appreso del suicidio di Jerska, Wiesler è commosso, la cinepresa gli gira intorno per poter rivelare, pian piano, che sta piangendo, e anche il suo respiro è profondo, con tutto l’addome, la sua mimica facciale rende con pochi micromovimenti il suo sconvolgimento di fronte alla bellezza della musica.
Georg cita Lenin sulla musica di Beethoven: “Non devo ascoltarla o non terminerò la rivoluzione”. E’ una condanna inappellabile per tutti i politici di tutti i tempi.
La razionalità e la durezza della politica ci costringono ad alienarci alla parte più bella e più profonda di noi, quella dove risiedono ogni fantasia, creatività e amore per la bellezza. E solo così è possibile arrivare a perpetrare quei massacri di cui anche Lenin si macchiò. Pur essendo figure completamente diverse (e certamente più simpatico Lenin), è interessante ricordare che il ministro della propaganda nazista Goebbels si era innamorato di una ballerina straniera e per questo stava per lasciare il partito nazista.
53° minuto: “Mio padre dice che sono degli uomini tanto cattivi che mettono la gente in prigione!” A queste parole Georg reagisce inizialmente col suo tipico “riflesso condizionato di sbirro”: “Come si chiama tuo papà?” Poi invece emerge la sua parte più profonda ormai in tumulto che non accetta più di servire un potere malvagio e per esso tormentare gli altri: sta diventando una persona buona. Allora cambia idea e chiede al bambino non più il nome del papà ma quello della palla. Perché in lui è come se si combattessero un dottor Jeckyl e un Mr Hyde, e non è sicuro che non denuncerà il nome del papà del bambino, se dovesse saperlo.
Il dialogo tra il 56° e il 57° minuto tra Laslo e Maria, quando lui la implora di non andare col ministro, rivela il profondo intreccio tra la bassa autostima, il ricorso alle droghe, legali o illegali, l’accettazione dei soprusi cui la società ci può costringere, anche verso noi stessi, o il nostro compiacere consapevolmente il potere per averne un tornaconto, indipendentemente dal nostro reale merito.
E’ un dialogo assolutamente attuale anche in ogni democrazia.
Wiesler è completamente assorto nell’ascolto, in uno stato meditativo, quando interviene il subordinato, stavolta maledettamente puntuale, che con la sua volgarità lo distoglie violentemente da quello stato di intimo rapimento.

59° minuto: l’ingresso del bar ha visibilmente le tende di un sipario teatrale. Si annuncia il “teatro” all’interno del film tra Christa e Wiesler.
“L’ho vista recitare a teatro, e sul palcoscenico lei era la stessa che adesso. Era così com’ è adesso”. Lui non glielo può rivelare, ma ‘così com’è adesso’ vuol dire che era così come lui la sta conoscendo nella sua intimità, spiandola segretamente.
-         “E lei sa come sono?”
-         “Io sono il suo pubblico”.
Ognuno di noi è un attore/attrice con gli altri/le altre, ed è pubblico per tutti gli altri/le altre. Quando lei gli racconta la bugia della vecchia amica, Wiesler le risponde che in quel momento è una cattiva attrice, è come se lui le rivelasse chi è: lei per tutta risposta si toglie gli occhiali e le chiede che fine farà. Lui le risponde come Gerog: lei è una grandissima attrice e non deve vendersi al potere.

1°04”. Dopo che Maria decide, dopo il colloquio con Wiesler, di non andare all’appuntamento col ministro, Laslo dichiara che adesso troverà il coraggio di fare qualcosa. Si riferisce a un’azione concreta contro quel governo che ha fatto suicidare il suo amico e che costringe la sua donna a prostituirsi con uno dei suoi ministri.
La certezza di non essere solo gli darà la forza di agire.

1°08”. Laslo decide di passare dall’altra parte della barricata con l’articolo sui suicidi. Insieme agli amici scendono una gradinata e dietro di loro si vede una specie di mausoleo, forse per indicare che la sua parte vile e servile è morta?
Il fatto che Wiesler lasci scappare Paulus dalla frontiera ha una doppia valenza:
1)                da un lato ormai anche lui parteggia con i dissidenti;
2)  denunciare Paulus significherebbe svelare a Georg di essere spiato, e questo sarebbe
negativo anche per la sua parte ancora ‘poliziesca’, che vuole restare nascosta,
3)  infine, e soprattutto, sta diventando un complice di Georg, e fargli scoprire che anche casa sua è sotto controllo porrebbe fine a questa avventura che è iniziata all’interno di se stesso e che ormai è deciso a continuare fino in fondo.

Da 1°13” a 1°19” Per la prima volta Wiesler mente deliberatamente nel rapporto, Successivamente “copre” Hauser con la menzogna dell’opera teatrale per il 40° della DDR. Questo perché Grubitz fa un errore imperdonabile: racconta a Wisler delle torture inflitte agli artisti, in questo caso torture psicologiche, più che fisiche, che infliggono loro un trauma permanente e irreversibile dal quale non si riprenderanno più. E’ la goccia che fa traboccare il vaso: Wiesler è ormai troppo affezionato a Georg e a Maria per temere di causargli delle sofferenze simili. Anche lui come Georg è ormai dall’altra parte della barricata, e decide di nascondere i reati d’opinione di Laslo. Nasconde la busta che aveva portato a Grubitz.
Ma Grubitz  intuisce che c’è sotto qualcosa e tira fuori il sigaro, simbolo fallico di potere.

1°24” Maria dice: “ Potrei essere poco affidabile come ritengono i tuoi amici”.
-         Noi saremo sempre uniti, il resto non conta.
In Georg come in Wiesler, come in Maria, ci sono sempre delle parti di sé che lottano tra di loro, l’una per la solidarietà, la giustizia, la lealtà innanzi tutto con se stessi, l’altra per l’autoconservazione e per la via (e la vita) più comoda. E da quest’ultima parte di sé, Maria ne è consapevole, bisogna guardarsi e farle sapere meno il possibile perché potrebbe prendere il sopravvento.
La scena del ministro, sul suo letto con la coperta di lana militaresca, dura pochi attimi ma è indicativa della sua solitudine disperante, paragonabile a quella di Wiesler che ricorreva alle prostitute.

Dopo che Maria non ha più ceduto al ricatto di Hempf , questi dice chiaramente a Grubitz che non la vuole più rivedere su un palcoscenico, e non gli importa neanche se vivrà o morirà. Questo per chiarire oltre ogni dubbio, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che Hempf non provava alcun vero sentimento nei confronti di Maria, pur essendo attratto dalla sua estrosità, autenticità, insomma da tutte quelle qualità che a lui, becero omuncolo stupratore di regime, mancano completamente.
Quando Hempf chiede a Maria dell’articolo sui suicidi, lei reagisce con uno strano riso e pianto isterico. E’ il frutto di una lacerazione tra due pulsioni contrastanti, quella di non tradire il suo amore e quella di consegnarlo ai suoi nemici per poter continuare a recitare. In modo simile, quando un animale è combattuto da due desideri opposti ma di uguale forza, per esempio combattere o fuggire, può adottare un comportamento del tutto inspiegabile in quel momento, così fanno taluni uccelli che si lisciano le penne nei momenti meno opportuni e dai quali può dipendere la loro vita, cioé quando si trovano di fronte a un nemico rispetto al quale non sanno decidersi ad attaccare o a fuggire.

1°38” Quando Wiesler si presenta al comando della Stasi viene avvisato di andare alla sala interrogatori 76: è passato ormai dalla parte degli inquisiti, dei nemici del regime. La spalla e il volto incombente dell’altro militare nel momento in cui gli annunciano quest’ordine accentuano la caduta di Wiesler.
La sala interrogatori per Wiesler è comunque più confortevole di quella dei detenuti comuni, perché Grubitz con le minacce spera ancora di poterlo utilizzare per rimediare ai colpi subiti. Quando chiede a Wiesler: “Stai ancora dalla parte giusta?” Lui gli risponde “Sì!” Col volto incorniciato da una specie di aureola che pare dargli ragione. In realtà Wiesler vorrebbe rispondergli: “Io ho sempre voluto stare dalla parte giusta, poi mi sono accorto che era quella sbagliata, e allora sono passato dall’altra parte, quella giusta”.
Per tutto il film, il muro di Berlino, così come lo stipite della porta sotto cui è nascosta la macchina da scrivere, rappresentano il confine all’interno di noi, nel quale ci dibattiamo perennemente, tra il fare ciò che sappiamo essere giusto e il seguire la scia o strada più comoda, quella che segue la massa, che seguono tutti.
I Muri di Berlino all’interno della coscienza di Wiesler, di Maria, di Georg, di ognuno di noi.
“Dovrebbe pensare al suo pubblico”: Wiesler la rimanda al loro colloquio intercorso nel bar, e contemporaneamente si riferisce al pubblico che in quel momento ascolta fuori della sala, al pubblico del suo teatro, a lui stesso, e al pubblico costituito da tutti gli altri, come per ciascuno di noi. Forse è anche un messaggio in codice. Forse le sta comunicando che lui è dalla sua parte, dalla parte del suo pubblico, e che infine, anche se parlerà, lei e Georg riusciranno a uscirne indenne.
Il richiamo a “quello che lo Stato ha fatto per lei, da quando è nata”, rievoca l’indottrinamento che nelle dittature viene subito fin da bambini, così come del resto, nel capitalismo, ognuno di noi è indottrinato all’idea che se non segue le mode e i dettami del consumismo (auto, telefonini, tablet, i-pod, vestiti, chirurgia estetica, divi e calciatori, alcool e droghe, ecc.)  è uno/a “sfigato/a”.
La propaganda esiste ovunque, anche se in forme diverse.
“E stasera sarà di nuovo in teatro. Nel suo elemento, con il suo pubblico”. Wiesler è perfettamente conscio dell’indispensabilità del teatro per Maria, così come lo era per Jerska e lo è per Laslo.

“Sai cosa bisogna fare quando si cade da cavallo? Risalire subito in sella!”

E’ notoriamente vero, perché impedisce alla paura di stabilizzarsi e di prolungarsi.
Lo stesso varrebbe per la moto, l’auto, o per ogni altra cosa che ci abbia provocato  paura. Al ritorno a casa Christa fa di nuovo la doccia perché si sente sporca per aver rivelato il nascondiglio, per aver tradito.
Quando Maria-Christa muore, la sua posizione è inequivocabilmente simile a quella di un Cristo che si è sacrificato. Nella stessa posizione cade nella vasca infuocata la Sigourney Weaver in Alien 3, che così fa morire l’alieno dentro di sé, e anche Charlton Eston in “Occhi Bianchi Su Pianeta Terra”. Christa-Maria assomma in sé il nome di Cristo e quello di Maria, e Maria si chiama anche la protagonista di “Metropolis”, di Fritz Lang, che salverà l’umanità.
Quando il muro viene abbattuto Wiesler si alza e se ne va. Gli altri, che evidentemente lo riconoscono come leader, anche in quel misero scantinato, lo seguono.
Lui capisce che ormai quel mondo è crollato e con esso tutte le sue architravi del controllo e della censura.
“E sapevamo anche quando le capitava di lasciare sessualmente inappagata la nostra Christa Maria”. Per un simile stupratore, così ripugnante da poter pervenire all’atto sessuale solo col ricatto, la più meschina soddisfazione è rinfacciare a Dreyman di aver lasciato qualche volta “inappagata” Christa, come se lui, che la violentava con le minacce di non farla più lavorare, la lasciasse invece “appagata”.
Si esprime qui un’idea della sessualità come mero atto meccanico, scevro di ogni emotività e naturalezza, che possono pure esprimersi, talvolta, con delle vulnerabilità, così come, per gli altri apparati corporei, possono verificarsi indigestioni, insonnia, mal di pancia o mal di testa.
Georg riconosce Wiesler per strada, ma l’impatto sarebbe troppo forte per poterlo salutare con una pacca sulla spalla e chiedergli come va. Wiesler era stato, fino a poco tempo prima, inizialmente il suo persecutore, poi il suo salvatore.
Decide di esprimergli la sua gratitudine, almeno per ora, con la sua arte. Dedicandogli un libro intitolato “Sonata per le persone buone”.