Mi è capitato di
riflettere in questi giorni su tanti gruppi che si fanno, a cui si partecipa,
con una intenzione e un proponimento di cambiamento, di stare meglio, più
felici, o, se proprio vogliamo usare un’espressione al negativo, ma non
dovremmo, per soffrire meno.
E mi sono apparse
chiare molte dinamiche e meccanismi positivi che questi gruppi possono avere in
comune, a prescindere dalla loro origine, estrazione sociale o culturale, da
ciò che di particolare in essi viene fatto o suggerito.
Mi spiego meglio. Immaginiamo che ci siano 100 persone; per
fare un esempio più significativo, diciamo 100 persone in stato di sofferenza,
per un motivo o per l’altro.
Ovviamente a questi gruppi partecipa anche a chi sta bene o relativamente
bene, ma il mio discorso verte proprio sulla questione del cambiamento, per cui
immaginiamo di prendere, ad esempio 100 persone “che soffrono”.
Di questi 100, 50 partecipano a vari gruppi, e altri 50 no.
Immaginiamo che dei 50 non partecipanti (il gruppo di
controllo), di qui a sei mesi, o un anno o più, 10 miglioreranno, 10
continueranno sempre nello stesso modo, e 30 peggioreranno. Ovviamente questo
non è un esperimento, non vi è statistica, punto di significatività, follow up,
campionamento, ecc. E’ solo una mera speculazione psico-filosofica, in cui però
provo a evidenziare alcuni punti in comune protagonisti e creatori di
cambiamento nei gruppi. Perché immagino che nel gruppo dei 50 che non
partecipano a un gruppo 30, cioè la maggioranza, peggiorerà? Per il semplice
motivo che se prendo delle persone che stanno male, o perché depresse, o
bulimiche, o dipendenti da droghe, dal gioco o dall’alcool, o invischiate in
relazioni sadomasochiste, o per mille altri motivi, se questi/e non fanno nulla
per uscirne, né gruppi, né terapie di alcun tipo, per il corpo o per la mente,
né si rivolgono ad alcun interesse o passione che li distolga dalla loro
auto-distruzione, non potremo aspettarci che miglioreranno!
Come dice Battiato, e i buddisti, se vuoi sapere cosa sarai
domani guarda quello che fai (e quello che pensi) oggi!
Degli altri 50 che partecipano a vari gruppi, immaginiamo
che 5 peggiorino, 15 restino invariati e 30 migliorino, poco o molto.
Ripeto, non è un esperimento e non mi baso su alcuni dati
reali, voglio solo evidenziare dei punti in comuni possibili fattori di
cambiamento.
Entriamo dunque nel vivo di quest’analisi.
10 fanno il gruppo “Heidi”, 10 il gruppo “Goldrake”, 10 il
gruppo “Remì”, 10 il “Capitan Harlock” e 10 il “Paperino”.
Ovviamente non rientrano tra questi nessun gruppo
autolesionista e autodistruttivo, che aizzi all’odio o all’aggressività, ecc.
Gruppi che pure esistono, purtroppo, ma che escludo a priori da questi che
chiamerò “gruppi di guarigione”.
Sono 5 gruppi molto
diversi, di diversa origine culturale, hanno costi diversi, il livello
economico, sociale e culturale sia dei partecipanti che dei conduttori può
essere anche molto diverso. Alcuni sono più efficaci, altri meno, ma comunque
complessivamente hanno un effetto positivo. Perché?
1)
L’elemento
dell’aspettativa/suggestione/placebo, senza qui soffermarci a sottilizzare
sulla differenza tra l’uno e l’altro. Il “placebo” non è una parolaccia, ma è
comunque un qualcosa che seppure “dettato dalla mente”, può avere effetti
reali, realissimi, tanto positivi, se è un placebo positivo, quanto negativi,
se è un placebo negativo, (nocebo).
Sta ai terapeuti, di ogni tipo e parte del mondo, e in questi casi ai
conduttori, sfruttarlo positivamente e ampliarne le possibilità. Ma in ogni
situazione in cui si decide di cambiare, e questo vale ovviamente non solo per
i gruppi ma anche per le terapie individuali, che siano basate sulla parola o
sul corpo, cure naturali, ecc., c’è un qualcosa che si mette in moto nelle
persone finalizzate al cambiamento, una leva che le spinge a migliorare, a
migliorarsi, e all’ottimismo.
Del resto è una cosa
lapalissiana: se uno fa qualcosa per cambiare è perché vuole/è disposto/accetta
di dover migliorare qualcosa, anche se poi differenti saranno l’impegno e i risultati
dei vari partecipanti.
Già questa situazione ci pone
lontani a mille miglia dall’alcolista che da 20 anni continua a ubriacarsi
negando di essere alcolizzato, o da quello che butta tutto il suo stipendio (o
quello della moglie, o la pensione dei genitori) ad una slot machine, simile al
topo della Skinner-box. Con la differenza che il topo, poverino, vi era
costretto e non aveva nessuna alternativa.
2)
Per
lo stesso motivo su citato, le persone partecipanti sono disposte, così come
hanno pagato per partecipare, a mettere in atto, in pratica, le prescrizioni, i
suggerimenti del conduttore. Parlo di gruppi tendenzialmente ristretti, con
poche persone, massimo qualche decina, con queste caratteristiche:
a. Il conduttore/la conduttrice è una persona
che ha passato molti anni nella ricerca, può avere limiti, difetti, ma è sinceramente
interessato/a a fare del bene, non sfruttare, speculare, ingannare,
approfittare degli altri
b. Fa
le cose alla luce del sole, è una cosa aperta, nulla di nascosto, di oscuro,
illegale,[1] ecc.
c. C’è una conoscenza diretta e reciproca tra
lui e tutti gli altri, non è una situazione tipo telepredicatori americani dove
il ciarlatano di turno fa un sermone in tv al termine del quale ti chiede dei
soldi per la gloria di Dio!
d. Dal gruppo si esce con dei compiti, con
qualcosa da fare per migliorare la propria vita. E ovviamente più vi si crede, più
si è ottimisti, più questo potrà diventare un fattore di cambiamento, anche
permanente.
3)
La
stessa partecipazione al gruppo implica un salto, per cui si smette, anche solo
per qualche giorno, di essere solo ed esclusivamente (per esempio) la mammina
sacrificata o l’impiegata/o o fidanzata/o zerbino che si fa trattare male da
tutti, o ci si stacca da un ambiente/famiglia oppressivi e schiaccianti, o si è
costretti a interrompere una routine, una dipendenza, fisica e/o psicologica,
e/o affettiva. Questo già da solo può essere un’esperienza emozionale
correttiva, una specie di nuovo chip acquisito, una capacità che non si
riteneva di avere, e che resterà a disposizione per il futuro, pronto lì, per
essere usato, se solo lo si vorrà.
4) La questione del conscio e dell’inconscio.
Sono anti-psicoanalisi, non ritengo che nella maggioranza dei casi i presunti e
pretesi lunghi viaggi nell’inconscio decennali, ventennali, trentennali
facciano bene, in quanto a mio avviso tendono a fare sprofondare ancor più le
persone nelle loro sofferenze, anziché fargli affrontare la realtà.
Non è possibile imparare a
nuotare se non ci si entra in mare, o in piscina.
Tuttavia in molti di questi casi
viene realizzata una auto esplorazione, facilitata dall’esterno, che in persone
che magari da decenni (o da sempre) l’hanno sistematicamente rifuggita, può
essere utile. Un’esplorazione delle
dinamiche familiari, dei modi con cui ci si difende dall’ambiente esterno, (o
lo si attacca per difendersi!), sui desideri che non sono realmente nostri ma
che abbiamo assunto dagli altri e che roboticamente cerchiamo di realizzare, così
come quelli che invece sono (o erano) nostri davvero e che abbiamo messo in
cantina (o in soffitta), le nostre identificazioni con questo o quel ruolo di
macho, o di femminuccia timorosa, o di rivoluzionario duro e puro, o di malato,
i vantaggi che senza renderci conto abbiamo da questa o quella situazione, i
cambiamenti anche gioiosi che così ci precludiamo perché ogni novità per la
mente è fonte di ansia, ecc.
Ovviamente c’è anche chi può fare
disastri in questo, ma questo può valere anche con uno psicoanalista, con un
amico, un fidanzato, un libro, ecc.
Ma se questa auto-esplorazione dura un tempo breve ed è finalizzato al
cambiamento, anziché aspettare decenni che l’inconscio sia lavato con la
candeggina (che tra l’altro inquina!) prima di poter cambiare le cose, e se
tutto non si riduce a un mero vittimismo per cui gli altri ci hanno fatto male
e non è possibile uscirne, questa auto-esplorazione può veramente essere utile.
L’unico esempio che voglio qui portare è quello delle psico-magie di
Jodorowsky, che può costituire un esempio paradigmatico.
Jodorowsky prima ascolta, in
breve, il racconto della vita e il problema i/problemi del partecipante, fa una
riflessione e poi gli assegna una psico-magia, con la quale, in qualche modo,
egli si dovrà occupare di sé, dovrà uscire dal suo loop, dal suo circolo
vizioso, ridando nuove informazioni alla propria mente/cervello. (Non mi
soffermo qui sulla questione mente/cervello…).
In molti casi,- questo è solo uno dei tanti esempi -, l’aspetto magico,
rituale, new age, spirituale, chiamiamolo come vogliamo, possono mettere in
scacco i giochi della mente, che per definizione mente e vuole sempre restare
uguale a se stessa, anche la mente di quello che da decenni si tira martellate
sui piedi (in fondo chi fuma non fa niente di molto diverso).
Se il terapeuta/conduttore/curatore/guaritore
dicesse a Giovanni: tu fai così perché ti è successo questo, devi invece fare
così per dirti che sei cambiato e che quello che ti era successo non può più
influire su di te, o devi dire a quello/a/i di non comportarsi più così, o devi
smettere di drogarti o di ubriacarti o di arrabbiarti o di farti picchiare
perché dentro di te c’è Dio, sei il tempio di Dio, e perché così ti ammali ecc.
ecc., la mente risponderebbe semplicemente come ha sempre risposto a tutti gli
amici o le amiche o i fidanzati o i figli o i genitori che gli hanno sempre
detto di fare qualcosa di diverso.
Ci vuole qualcosa che bypassi la
mente, qualcosa che risolva il problema con un tipo di pensiero diverso da
quello che lo ha creato, come diceva Einstein.
5)
Last
but not least, il fattore comunità/rete sociale. Preciso che ho elencato questi
elementi non in ordine di importanza ma provando a seguire il filo del
discorso, ovviamente su ognuno gli elementi qui elencati incideranno in modo
diverso, a seconda del tipo di
problema/situazione, della loro psicologia, dell’età, forza, comprensione, resistenza,
sensibilità, personalità, ecc.
La questione della rete sociale è anche quella in gran parte
determinante nel successo di molte “nuove religioni”, o che sono nuove
magari per noi, non per altri, anche se già presenti nella nostra (o altrui)
cultura da secoli o millenni, ma prima non le avevamo mai prese in
considerazione. Ma vale anche per fenomeni come le comunità di
ex-tossicodipendenti. In ogni nuovo gruppo uno trova persone “nuove”, a cui lui
stesso/lei stessa può presentarsi come nuovo, sicuramente più libero dagli
stereotipi e i ruoli a cui lo costringono famiglia, lavoro, amici, ecc. Anche
per questo più si partecipa da soli e lontani dall’ambiente abituale, più si
può essere autentici e andare in profondità.
Molte persone riescono,
abbracciando una nuova religione, o qualche gruppo religioso, a liberarsi
dall’alcool, dalla droga, dal gioco, dalla depressione, da varie
malattie/problemi/disfunzioni fisiche, mentali, psicosomatiche.
Ovviamente non dimentico il
fanatismo e bigottismo esasperante, e le rapine economiche, che
contraddistingue alcuni di questi, ma non è questo l’oggetto del discorso. Qui
prendo in considerazione i fattori curativi dei gruppi, tra cui possono esserci
quelli religiosi, non per questo assolvo i gruppi o sette in cui si annidano
forme fascistoidi, reazionarie, integraliste, o truffe sistematizzate.
Un nuovo gruppo di persone che si comincia a frequentare:
a. Ci può far sentire più amati, apprezzati, possiamo
trovare amici che prima non avevamo, mentre prima eravamo soli o male
accompagnati, una rete sociale che ci
aiuta.
b. Può portare a una nuova relazione.
c. Può dare un senso alle nostre giornate,
financo alla nostra vita.
d. Può farci perseguire insieme ad altri un
progetto che riteniamo magnifico.
e. Per seguire questo progetto potremo trovare
la forza di abbandonare i vecchi schemi, anche perché magari questi sono in
contraddizione coi nuovi, per cui o accettiamo le regole del nuovo gruppo,
oppure niente.
f. Possiamo noi stessi prenderci cura degli
altri nel gruppo, e già questo è di grande aiuto e ci fa sentire certamente
migliori e più buoni. (Help therapy).
Questo vale non solo per molti gruppi religiosi (o anche
pseudo-religiosi), ma anche per gruppi più rilassati e gioiosi, come potrebbero
essere, per esempio, un gruppo di ballo, uno che va a fare foto per le città,
gruppi di viaggio o sportivi.
Ovviamente nessuno andrà a proporre il tango o il fox-trotten come cura
per i mali del mondo, anche perché sarebbero per primi i suoi compagni tangheri
o fox-trottari (come si dice?) a dargli del matto, -anche se l’anima il tango
un po’ l’anima la cura…-, però partecipare a un gruppo nuovo, per tutte le
ragioni su elencate, può essere d’aiuto e risanante.
E questo può avvenire, anche se in modo più spontaneo e meno
strutturato, anche nei gruppi “di guarigione”.
[1]
Mi riferisco ovviamente a realtà democratiche, per esempio non la Cina dove i
praticanti del Falun Gong vengono torturati e uccisi in quanto considerati
oppositori…
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie del tuo commento, sarà visibile al più presto nel sito.