sabato 27 aprile 2013

Sui gruppi di cambiamento



Mi è capitato di riflettere in questi giorni su tanti gruppi che si fanno, a cui si partecipa, con una intenzione e un proponimento di cambiamento, di stare meglio, più felici, o, se proprio vogliamo usare un’espressione al negativo, ma non dovremmo, per soffrire meno.
E mi sono apparse chiare molte dinamiche e meccanismi positivi che questi gruppi possono avere in comune, a prescindere dalla loro origine, estrazione sociale o culturale, da ciò che di particolare in essi viene fatto o suggerito.
Mi spiego meglio. Immaginiamo che ci siano 100 persone; per fare un esempio più significativo, diciamo 100 persone in stato di sofferenza, per un motivo o per l’altro.
Ovviamente a questi gruppi partecipa anche a chi sta bene o relativamente bene, ma il mio discorso verte proprio sulla questione del cambiamento, per cui immaginiamo di prendere, ad esempio 100 persone “che soffrono”.
Di questi 100, 50 partecipano a vari gruppi, e altri 50 no.
Immaginiamo che dei 50 non partecipanti (il gruppo di controllo), di qui a sei mesi, o un anno o più, 10 miglioreranno, 10 continueranno sempre nello stesso modo, e 30 peggioreranno. Ovviamente questo non è un esperimento, non vi è statistica, punto di significatività, follow up, campionamento, ecc. E’ solo una mera speculazione psico-filosofica, in cui però provo a evidenziare alcuni punti in comune protagonisti e creatori di cambiamento nei gruppi. Perché immagino che nel gruppo dei 50 che non partecipano a un gruppo 30, cioè la maggioranza, peggiorerà? Per il semplice motivo che se prendo delle persone che stanno male, o perché depresse, o bulimiche, o dipendenti da droghe, dal gioco o dall’alcool, o invischiate in relazioni sadomasochiste, o per mille altri motivi, se questi/e non fanno nulla per uscirne, né gruppi, né terapie di alcun tipo, per il corpo o per la mente, né si rivolgono ad alcun interesse o passione che li distolga dalla loro auto-distruzione, non potremo aspettarci che miglioreranno!
Come dice Battiato, e i buddisti, se vuoi sapere cosa sarai domani guarda quello che fai (e quello che pensi) oggi!
Degli altri 50 che partecipano a vari gruppi, immaginiamo che 5 peggiorino, 15 restino invariati e 30 migliorino, poco o molto.
Ripeto, non è un esperimento e non mi baso su alcuni dati reali, voglio solo evidenziare dei punti in comuni possibili fattori di cambiamento.

Entriamo dunque nel vivo di quest’analisi.
10 fanno il gruppo “Heidi”, 10 il gruppo “Goldrake”, 10 il gruppo “Remì”, 10 il “Capitan Harlock” e 10 il “Paperino”.
Ovviamente non rientrano tra questi nessun gruppo autolesionista e autodistruttivo, che aizzi all’odio o all’aggressività, ecc. Gruppi che pure esistono, purtroppo, ma che escludo a priori da questi che chiamerò “gruppi di guarigione”.
Sono 5 gruppi molto diversi, di diversa origine culturale, hanno costi diversi, il livello economico, sociale e culturale sia dei partecipanti che dei conduttori può essere anche molto diverso. Alcuni sono più efficaci, altri meno, ma comunque complessivamente hanno un effetto positivo. Perché?

1)      L’elemento dell’aspettativa/suggestione/placebo, senza qui soffermarci a sottilizzare sulla differenza tra l’uno e l’altro. Il “placebo” non è una parolaccia, ma è comunque un qualcosa che seppure “dettato dalla mente”, può avere effetti reali, realissimi, tanto positivi, se è un placebo positivo, quanto negativi, se è un placebo negativo, (nocebo).
Sta ai terapeuti, di ogni tipo e parte del mondo, e in questi casi ai conduttori, sfruttarlo positivamente e ampliarne le possibilità. Ma in ogni situazione in cui si decide di cambiare, e questo vale ovviamente non solo per i gruppi ma anche per le terapie individuali, che siano basate sulla parola o sul corpo, cure naturali, ecc., c’è un qualcosa che si mette in moto nelle persone finalizzate al cambiamento, una leva che le spinge a migliorare, a migliorarsi, e all’ottimismo.
Del resto è una cosa lapalissiana: se uno fa qualcosa per cambiare è perché vuole/è disposto/accetta di dover migliorare qualcosa, anche se poi differenti saranno l’impegno e i risultati dei vari partecipanti.
Già questa situazione ci pone lontani a mille miglia dall’alcolista che da 20 anni continua a ubriacarsi negando di essere alcolizzato, o da quello che butta tutto il suo stipendio (o quello della moglie, o la pensione dei genitori) ad una slot machine, simile al topo della Skinner-box. Con la differenza che il topo, poverino, vi era costretto e non aveva nessuna alternativa.

2)      Per lo stesso motivo su citato, le persone partecipanti sono disposte, così come hanno pagato per partecipare, a mettere in atto, in pratica, le prescrizioni, i suggerimenti del conduttore. Parlo di gruppi tendenzialmente ristretti, con poche persone, massimo qualche decina, con queste caratteristiche:
a.     Il conduttore/la conduttrice è una persona che ha passato molti anni nella ricerca, può avere limiti, difetti, ma è sinceramente interessato/a a fare del bene, non sfruttare, speculare, ingannare, approfittare degli altri
b.     Fa le cose alla luce del sole, è una cosa aperta, nulla di nascosto, di oscuro, illegale,[1] ecc.
c.      C’è una conoscenza diretta e reciproca tra lui e tutti gli altri, non è una situazione tipo telepredicatori americani dove il ciarlatano di turno fa un sermone in tv al termine del quale ti chiede dei soldi per la gloria di Dio!
d.    Dal gruppo si esce con dei compiti, con qualcosa da fare per migliorare la propria vita. E ovviamente più vi si crede, più si è ottimisti, più questo potrà diventare un fattore di cambiamento, anche permanente.

3)    La stessa partecipazione al gruppo implica un salto, per cui si smette, anche solo per qualche giorno, di essere solo ed esclusivamente (per esempio) la mammina sacrificata o l’impiegata/o o fidanzata/o zerbino che si fa trattare male da tutti, o ci si stacca da un ambiente/famiglia oppressivi e schiaccianti, o si è costretti a interrompere una routine, una dipendenza, fisica e/o psicologica, e/o affettiva. Questo già da solo può essere un’esperienza emozionale correttiva, una specie di nuovo chip acquisito, una capacità che non si riteneva di avere, e che resterà a disposizione per il futuro, pronto lì, per essere usato, se solo lo si vorrà.

4)    La questione del conscio e dell’inconscio. Sono anti-psicoanalisi, non ritengo che nella maggioranza dei casi i presunti e pretesi lunghi viaggi nell’inconscio decennali, ventennali, trentennali facciano bene, in quanto a mio avviso tendono a fare sprofondare ancor più le persone nelle loro sofferenze, anziché fargli affrontare la realtà.
Non è possibile imparare a nuotare se non ci si entra in mare, o in piscina.
Tuttavia in molti di questi casi viene realizzata una auto esplorazione, facilitata dall’esterno, che in persone che magari da decenni (o da sempre) l’hanno sistematicamente rifuggita, può essere utile. Un’esplorazione delle dinamiche familiari, dei modi con cui ci si difende dall’ambiente esterno, (o lo si attacca per difendersi!), sui desideri che non sono realmente nostri ma che abbiamo assunto dagli altri e che roboticamente cerchiamo di realizzare, così come quelli che invece sono (o erano) nostri davvero e che abbiamo messo in cantina (o in soffitta), le nostre identificazioni con questo o quel ruolo di macho, o di femminuccia timorosa, o di rivoluzionario duro e puro, o di malato, i vantaggi che senza renderci conto abbiamo da questa o quella situazione, i cambiamenti anche gioiosi che così ci precludiamo perché ogni novità per la mente è fonte di ansia, ecc.
Ovviamente c’è anche chi può fare disastri in questo, ma questo può valere anche con uno psicoanalista, con un amico, un fidanzato, un libro, ecc.
Ma se questa auto-esplorazione dura un tempo breve ed è finalizzato al cambiamento, anziché aspettare decenni che l’inconscio sia lavato con la candeggina (che tra l’altro inquina!) prima di poter cambiare le cose, e se tutto non si riduce a un mero vittimismo per cui gli altri ci hanno fatto male e non è possibile uscirne, questa auto-esplorazione può veramente essere utile.
L’unico esempio che voglio qui portare è quello delle psico-magie di Jodorowsky, che può costituire un esempio paradigmatico.
Jodorowsky prima ascolta, in breve, il racconto della vita e il problema i/problemi del partecipante, fa una riflessione e poi gli assegna una psico-magia, con la quale, in qualche modo, egli si dovrà occupare di sé, dovrà uscire dal suo loop, dal suo circolo vizioso, ridando nuove informazioni alla propria mente/cervello. (Non mi soffermo qui sulla questione mente/cervello…).
In molti casi,- questo è solo uno dei tanti esempi -, l’aspetto magico, rituale, new age, spirituale, chiamiamolo come vogliamo, possono mettere in scacco i giochi della mente, che per definizione mente e vuole sempre restare uguale a se stessa, anche la mente di quello che da decenni si tira martellate sui piedi (in fondo chi fuma non fa niente di molto diverso).
Se il terapeuta/conduttore/curatore/guaritore dicesse a Giovanni: tu fai così perché ti è successo questo, devi invece fare così per dirti che sei cambiato e che quello che ti era successo non può più influire su di te, o devi dire a quello/a/i di non comportarsi più così, o devi smettere di drogarti o di ubriacarti o di arrabbiarti o di farti picchiare perché dentro di te c’è Dio, sei il tempio di Dio, e perché così ti ammali ecc. ecc., la mente risponderebbe semplicemente come ha sempre risposto a tutti gli amici o le amiche o i fidanzati o i figli o i genitori che gli hanno sempre detto di fare qualcosa di diverso.
Ci vuole qualcosa che bypassi la mente, qualcosa che risolva il problema con un tipo di pensiero diverso da quello che lo ha creato, come diceva Einstein.

5)    Last but not least, il fattore comunità/rete sociale. Preciso che ho elencato questi elementi non in ordine di importanza ma provando a seguire il filo del discorso, ovviamente su ognuno gli elementi qui elencati incideranno in modo diverso, a  seconda del tipo di problema/situazione, della loro psicologia, dell’età, forza, comprensione, resistenza, sensibilità, personalità, ecc.
La questione della rete sociale è anche quella in gran parte determinante nel successo di molte “nuove religioni”, o che sono nuove magari per noi, non per altri, anche se già presenti nella nostra (o altrui) cultura da secoli o millenni, ma prima non le avevamo mai prese in considerazione. Ma vale anche per fenomeni come le comunità di ex-tossicodipendenti. In ogni nuovo gruppo uno trova persone “nuove”, a cui lui stesso/lei stessa può presentarsi come nuovo, sicuramente più libero dagli stereotipi e i ruoli a cui lo costringono famiglia, lavoro, amici, ecc. Anche per questo più si partecipa da soli e lontani dall’ambiente abituale, più si può essere autentici e andare in profondità.
Molte persone riescono, abbracciando una nuova religione, o qualche gruppo religioso, a liberarsi dall’alcool, dalla droga, dal gioco, dalla depressione, da varie malattie/problemi/disfunzioni fisiche, mentali, psicosomatiche.
Ovviamente non dimentico il fanatismo e bigottismo esasperante, e le rapine economiche, che contraddistingue alcuni di questi, ma non è questo l’oggetto del discorso. Qui prendo in considerazione i fattori curativi dei gruppi, tra cui possono esserci quelli religiosi, non per questo assolvo i gruppi o sette in cui si annidano forme fascistoidi, reazionarie, integraliste, o truffe sistematizzate.

Un nuovo gruppo di persone che si comincia a frequentare:
a.     Ci può far sentire più amati, apprezzati, possiamo trovare amici che prima non avevamo, mentre prima eravamo soli o male accompagnati, una rete sociale che ci aiuta.
b.    Può portare a una nuova relazione.
c.      Può dare un senso alle nostre giornate, financo alla nostra vita.
d.    Può farci perseguire insieme ad altri un progetto che riteniamo magnifico.
e.      Per seguire questo progetto potremo trovare la forza di abbandonare i vecchi schemi, anche perché magari questi sono in contraddizione coi nuovi, per cui o accettiamo le regole del nuovo gruppo, oppure niente.
f.      Possiamo noi stessi prenderci cura degli altri nel gruppo, e già questo è di grande aiuto e ci fa sentire certamente migliori e più buoni. (Help therapy).

Questo vale non solo per molti gruppi religiosi (o anche pseudo-religiosi), ma anche per gruppi più rilassati e gioiosi, come potrebbero essere, per esempio, un gruppo di ballo, uno che va a fare foto per le città, gruppi di viaggio o sportivi.
Ovviamente nessuno andrà a proporre il tango o il fox-trotten come cura per i mali del mondo, anche perché sarebbero per primi i suoi compagni tangheri o fox-trottari (come si dice?) a dargli del matto, -anche se l’anima il tango un po’ l’anima la cura…-, però partecipare a un gruppo nuovo, per tutte le ragioni su elencate, può essere d’aiuto e risanante.
E questo può avvenire, anche se in modo più spontaneo e meno strutturato, anche nei gruppi “di guarigione”.


[1] Mi riferisco ovviamente a realtà democratiche, per esempio non la Cina dove i praticanti del Falun Gong vengono torturati e uccisi in quanto considerati oppositori…

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