Premessa: è una recensione dove racconto abbastanza. Poiché NON voglio danneggiare il film, leggetela solo se l'avete già visto, o comunque se non è più in proiezione dove abitate.
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La storia di George Valentine è una splendida metafora sulla
comunicazione. Egli non solo finisce la sua carriera con l’avvento del cinema
sonoro, quindi un crollo professionale, ma anche il suo crollo umano e
sentimentale è dovuto alla sua incapacità/non volontà di rapportarsi agli
altri.
Il suo cane, che non è dotato di parola, significativamente
“parla” molto più di lui, ed ha per questo un ruolo essenziale nell’economia
del film. E’ come se fosse il suo angelo custode, o la parte più saggia di sé:
è lui che gli salva la vita, riuscendo a convincere un poliziotto stupido e
testardo ad accorrere all’incendio dove il suo padrone sta morendo.
Quando sua moglie, con la quale non c’è più alcun rapporto
da anni, se mai c’è stato, gli dice: “Dobbiamo parlare”, lui nicchia, si
trincera dietro lo stesso silenzio del suo cinema muto.
Quando la donna che lo ama gli lascia il suo numero di
telefono perché la chiami, lui non lo fa, lei lo rincorre per anni ma lui è
chiuso nel suo naricisismo, ritenendola per giunta colpevole della sua fine
artistica, lei che del cinema sonoro ha fatto la sua fortuna.
Lui rifiuta di parlare sia con chi lo ama, che non lascia
neanche entrare in casa quando lo va a trovare, sia con sua moglie con cui non
c’è più alcun affetto, e realizza un film muto in cui dichiara alla donna con
cui sta di non amarla, mentre viene inghiottito dalle sabbie mobili.
Rifiuta anche di adattarsi o perlomeno di provare, di
cimentarsi, di cercare un compromesso col nuovo cinema sonoro che si affaccia
all’orizzonte.
Chiuso nella sua depressione e autocommiserazione narcisistica,
persino dopo che la protagonista lo accoglie amorevomente a casa sua e gli
dichiara il suo amore, torna in quel che resta del suo appartamento in rovina e
si accinge al suicidio, anche stavolta frenato e ostacolato dall’amorevole
cane.
Il rumore è sinonimo di comunicazione: nel suo incubo ogni
suono gli incute il terrore, e il suono è per lui comunicare. Comunicare ci
costringe a confrontarci, a prendere atto di quello che va e di quello che non
va, a uscire da noi stessi, dal nostro cubicolo narcisistico, a riconoscere
quello che vogliamo e quello che non vogliamo, quello che desideriamo e che non
desideriamo, quello che facciamo perché vi siamo spinti dalle circostanze,
dalle consuetudini, dalla società (come un matrimonio fallito), oppure perché lo vogliamo, perché lo vuole la parte più
profonda di noi - il cuore, l’anima, o chi per lei.
Parafrasando Woody Allen: tutto quello che avremmo sempre
voluto dire e fare, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di dire e di fare.
(L'immagine sotto è presa da facebook)
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