domenica 29 gennaio 2012

IL VANTAGGIO DI ESSERE DEPRESSI/E, ASOCIALI, APATICHE/I E FUMATORI/TRICI

Ogni tanto penso che vita beata hanno i/le depressi/e che si svegliano in tarda mattina o il pomeriggio, (a prescindere naturalmente dagli incubi che hanno avuto la notte), e già ricominciando a soffrire per il fatto di essere vivi, riprendono a fumare, per ammazzare il tempo, con l’unica speranza di riaddormentarsi presto, e magari di non risvegliarsi mai più. E sì, perché pensate che vita semplice è mai questa.
Non lo immaginereste ma quest’idea mi è scaturita leggendo dei giornali.
Non un giornale, ma dei giornali. Sì dà il caso che purtroppo io sia un po’ ossessivo e collezioni vari giornali per selezionarne gli articoli più interessanti, leggerli e se lo meritano conservarli. E cosa c’entra mai questo con la depressione, direte voi?
C’entra, perché bastano pochi giornali (per non parlare di internet), per ricordarci quanto vario e ricco e immenso e bello sia il mondo, pur con tutte le sue storture, le deviazioni e le aberrazioni che in esso vi sono. Mi basta leggere di un concorso letterario per ricordarmi che dovrei trascrivere sul computer una trentina di quaderni scritti a penna, tra tanta immondizia qualcosa di carino potrò pur avere scritto da mandare a un concorso no? Beh se per questo mi basterebbe rivedere e correggere il migliaio di pagine scritto in passato, anche lì ci sarà pure qualcosa di bello no?
Pensate che se fossi stato solo depresso a piangermi addosso e a fumare, non avrei scritto nulla. D’altra parte, non ho mai imparato a fumare. Poi spesso gli articoli ritagliati restano lì ad ammuffire e ne leggerò solo qualcuno. Non perché non m’interessino, m’interessano invece. Ma m’interessano altrettanto qualche decina di libri che già ho, e che dovrei leggere da una vita, e non parliamo di quelli che dovrei comprare… Uno dei miei episodi preferiti de “I confini della realtà” è in una vecchissima serie, con un impiegato di banca che s’imboscava ovunque pur di starsene a leggere per i fatti suoi, sia al lavoro che in famiglia. Tutti lo criticavano per questo. Ma io posso capirlo bene. Per me entrare in una libreria è un problema perché se solo penso a quante cose interessanti, dalla storia alla psicologia, dalla filosofia alla spiritualità alla meditazione alla sessuologia al teatro al cinema alla fotografia, meriterebbero di essere lette, davvero mi deprimo. Starsene a letto a piangere e fumare è una cosa infinitamente più semplice. L’unico palliativo che posso adottare è entrare in una libreria quando so già quale libro acquistare, un libro che per qualche misteriosa alchimia ha superato la concorrenza tra altri milioni di volumi, prenderlo e subito andare alla cassa con gli occhi semichiusi, per non farmi catturare dagli altri (libri). Devo dire che anche questo risulta molto difficile perché nonostante questa strategia l’occhio può comunque cadere su uno scaffale con un libro accattivante che un impiegato infingardo ha piazzato con la copertina frontalmente, così che se il titolo e la copertina mi vincono, posso tutt’al più resistere al momento, ma presto ritornerò a comprarlo.
E a proposito di cinema, di teatro, di fotografia, che dire allora delle mostre e degli spettacoli? La cultura è così immensa che è un vero problema saper e dover scegliere tra migliaia di mostre, di spettacoli, di film, dai cinema d’essai alle mostre di arte contemporanea in cui non si capisce un tubo, alle retrospettive del Caravaggio agli spettacoli del teatro di ricerca, classico, il cabaret, la clownerie, di strada, la giocoleriai... per questo la vita ideale non è solo quella del depresso fumatore: è meglio se il depresso fumatore è ignorante. Più ignorante è, meglio è. Non nel senso di ignorante come sprovvisto di titoli di studio o di bagagli nozionistici, ma nel senso che non abbia alcuna curiosità per il mondo, per alcuna arte, alcuno sport, alcuna attività e ovviamente per alcun’altra persona. Infatti, già abbiamo parlato degli sterili e morti libri e di appena un po’ più vivi spettacoli, mostre e film, ma pensate quale problema sarebbe vivere per uno che fosse interessato a praticare degli sporti, che sia il chickboxing o l’alpinismo, la vela o il tiro con l’arco, il calcio o il ciclismo. Basterebbe uno solo di questi interessi, la musica o la scrittura o la lettura, il cinema o la fotografia, l’atletica  o lo sci di fondo, per riempire non una, ma decine di vite. Pensate quale dramma, quale angoscia, quale tormento per chi di questi interessi ne avesse più d’uno, 3, 5, 10? Dovrebbe vivere fino a mille anni per poterli  soddisfare, solo in minima parte.
E sempre con l’insoddisfazione di non leggere o scrivere o suonare o comporre o boxare o ballare o biciclettare o fotografare o dipingere abbastanza.
Volete mettere con la serenità dello svegliarsi a letto e piangere, sempre contornati dalla meravigliosa aureola della sigaretta, con la speranza aggiuntiva che essa possa accorciarci ulteriormente la vita?
E non abbiamo detto ancora nulla. Perché non abbiamo ancora  ricordato da quale peggiore sventura il depresso psicotico si salvi. Il rapporto con gli altri e con il mondo.
I rapporti con gli altri possono essere terribilmente coinvolgenti e fonte di gioia e di arricchimento. Certo, per fortuna alcuni meno di altri, anzi alcuni rapporti sarebbe proprio meglio evitarli, ma purtroppo esistono al mondo almeno qualche miliardo di persone al mondo, ognuna delle quali, che sia maschio o femmina, che sia giovane o vecchio, ognuna di queste potrebbe darci delle prospettive diverse, ognuna di queste potrebbe rovinarci ulteriormente inoculandoci il virus di qualche altro sport, arte o attività o lavoro o interesse da cui fino a quel momento eravamo riusciti a rimanere indenni!
Pensate quale orrore, in una persona già martoriata dalla consapevolezza di non poter leggere tutti i libri del mondo che lo interessano, di non poter praticare tutti gli sport che vorrebbe, di non poter vedere tutte le mostre fotografiche, tutti gli spettacoli teatrali, tutti i film che meriterebbero di essere visti, pensate quale terribile peggioramento sarebbe venire a conoscenza di altre attività, musiche o arti che si rivelassero altrettanto interessanti e altrettante fonti di soddisfazione, gratificazione e gioia di vivere! Ogni altra persona interessata alla vita e al mondo può essere un pericolo, perché può inculcarci i suoi interessi, la sua vitalità, il suo modo di gioire del mondo e della vita, siano essi il tango argentino o la ginnastica artistica, il pattinaggio o la fotografia, la meditazione zen o il cabaret, il nuoto o l’alpinismo, la salvezza dei bambini africani o la difesa e la liberazione degli animali condannati altrimenti a un atroce destino.
Ogni altro/a essere umano è un pericolo! In realtà sono un pericolo anche gli animali, perché anch’essi possono indurci in un turbine inarrestabile di sentimenti o di emozioni, siano semplici gattini o cerbiatti rimasti orfani a causa di un cacciatore che possono trovare in noi dei genitori adottivi, se abbiamo la fortuna di vivere nella natura. Insomma ogni altro essere vivente costituisce un pericolo. Persino degli insetti è possibile innamorarsi! Persino all’ordine sociale delle api e delle termiti è possibile dedicare la propria vita, se non corriamo al riparo di un comodo letto inzuppabile con lacrime e anneribile con cenere di sigarette. (Sempre che non si abbia la fortuna di incendiarlo). E non finisce qui. Ho parlato di esseri umani, di animali domestici e non, di insetti, e lo stesso si poterebbe dire dei pesci così come degli alberi, ma possiamo dimenticare la pericolosissima, tremenda bellezza degli ambienti naturali in generale? Che siano la “semplice” campagna o la colline o le montagna, la tundra o la savana o gli abissi marini, il polo artico o antartico, i fiordi o i deserti o le cascate, i laghi o i fiumi o gli oceani, che del resto contengono al loro interno tutti gli sciagurati elementi già considerati, possiamo dimenticare la bellezza, la complessità, l’insopportabile fascino di tutti questi scenari?
C’è chi ha dato e rischiato la vita per non fare abbattere le foreste, come Chico Mendez, ci sono state molte biologhe e ambientaliste che hanno dato la vita per difendere leoni o scimpanzé dai bracconieri,

ci sono persino in Italia quegli sciocchi valligiani che sprecano la loro vita a difendere le loro valli e montagne dai treni ad alta voracità, e quell’altro sindaco ucciso perché non permetteva la cementificazione del suo paese?

Il problema della vita è che se uno è così pazzo da non chiudersi nella propria camera a piangere, a dormire e a fumare, ognuno di questi pericoli fuori della tua stanza rischia di gettarti in un vortice di interessi e di passioni, e ogni animale, ogni umano, ogni arte, ogni sport, ogni forma di cultura, ogni scenario naturale e ogni paesaggio ti fa rimbalzare ad altrettanti umani, sport e passioni… E tutto s’intreccia continuamente in un mix mortale di vitalità: la gioia di un tramonto sul mare ti può far finire nella passione per la fotografia o i video, e rischia di farti conoscere altri/e con le stesse passioni, e poi questi/e potrebbero insinuarti l’amore per vivere la natura con l’alpinismo o con lo sci di fondo, e poi potresti persino scrivere di queste cose, e/o interessarti agli altri che ne scrivono e ne leggono, e poi rischieresti di essere coinvolto in qualche banda di umani che queste cose vorrebbe salvare, il mare o il cielo azzurro piuttosto che le foreste piuttosto che i branchi di cavalli allo stato brado piuttosto che gli orsi o i panda piuttosto che gli animali cosiddetti da pelliccia anziché la fauna marina distrutta dal sushi e dalla pesca alle balene…
E l’amore? L’amore è la peggiore tra tutte le sventure! L’amore ci fa uscire da noi stessi, dal nostro amato letto infradiciato e affumicato per provare l’ebbrezza del bacio e dell’abbraccio, dell’estasi sessuale e della condivisione di tutti quei pericoli pocanzi citati. Non parliamo poi del pericolo di avere figli, che finirebbe col centuplicare ipso facto tutti quegli interessi, passioni, che non solo vorremmo coltivare per noi stessi ma sentiremmo per di più di dover trasmettere ai nostri figli e/o figlie! Come dire: uno che già aveva un fardello di 100 tonnellate, lo raddoppia in un colpo solo! Purtroppo non tutti hanno la saggezza di sprofondare nella depressione psicotica, ma molto si può fare per scartare con abili dribbling tutti questi rischi e tranelli, e molto già abbiamo fatto e continuiamo a fare, come specie umana.
Ci siamo rintanati e rinchiusi e ingabbiati in enormi agglomerati di cemento, facendo tabula rasa, il più possibile, della vita animale e vegetale, e degli scenari meravigliosi, marini o montani o campagnoli, in cui altrimenti vivremmo immersi.
Con le scuole e università siamo riusciti ad allontanare dalla cultura e dall’amore per la letteratura, per l’arte, per la musica, per la psicologia, e per ogni altra disciplina dell’umano scibile, milioni, miliardi di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, giovani che altrimenti avrebbero finito con l’appassionarsi alla pittura e alla scultura, alla letteratura e alle lingue straniere, alla matematica e alla scienza. Non a caso abbiamo denominato tutte queste “discipline”, oppure le abbiamo contornate con “storia di” e “storia del”, o con “educazione a questo”, “educazione a quello”. Termini ed espressioni che già contengono un mondo. Anzi, contengono la loro negazione dei mondi che dovrebbero comprendere.
Abbiamo fatto di tutto anche per limitare i nostri contatti con altri umani, con motivazioni religiose, razziali, economiche, politiche, culturali.
Isolandoci da chi non professa la nostra stessa religione, non ha il nostro stesso colore della pelle o non parla la nostra lingua, da chi non ha lo stesso nostro tenore di vita, da chi la pensa diversamente da noi rispetto alla religione, alla politica o alle cosiddette razze o ai cosiddetti diritti animali, e persino separandoci da chi non segue le stesse mode o non tifa per la nostra squadra riusciamo a evitare molti dei pericoli innanzi citati. Anche il possesso esclusivo e dogmatico del partner sessuale ci aiuta, evitandoci pericolose deviazioni e permettendoci un assestamento il più possibile duraturo: il cosiddetto “e vissero felici e contenti” propagandato nelle fiabe.
Abbiamo fatto in modo che la maggioranza dell’umanità sia così povera e derelitta, e abbiamo al contempo talmente commercializzato ogni cosa, persino l’acqua, per ridurre o annullare la gioia di vivere persino nei bambini, o, al più tardi, negli adolescenti.
Abbiamo agito su più fronti:
1) isolare l’umanità dalla natura;
2) distruggere, inquinare, devastare il più possibile la natura, in ogni sua manifestazione, regno, sistema, livello;
3) rendere il tutto noioso, insignificante, scontato, facendo credere che valga la pena solo spostarsi all’altra parte del mondo per vedere una certa cascata o un certo grattacielo o un certo quadro: il cosiddetto “turismo di massa”.
Siamo riusciti poi a creare un sistema economico così angosciante che l’unica preoccupazione per tutti noi, tranne pochi figli di papà, sia “trovare un lavoro e tirare a campare”. E abbiamo fatto sì che in questo sistema economico maggiore sia la disoccupazione e la disperazione e la ricattabilità delle persone, dai diciottenni ai cinquantenni alle immigrate alle donne incinte, maggiori siano i profitti di una istituzione denominata “Borsa”. Non mi dilungo, naturalmente, sul fatto che anche molti lavori che ci sono nel mondo, dal costruire al pulire, dall’insegnare all’accudimento delle persone, dal cucinare all’agricoltura, potrebbero essere altrettante esplosioni e fonti di vitalità, di gioia e di soddisfazione, e talvolta lo sono ancora in parte, nonostante abbiamo fatto di tutto per umiliarli, mortificarli, imprigionarli, impoverirli, burocratizzarli, appesantirli, ingrigirli.
Alcuni lavori, come quello dell’agricoltore, che di per sé potrebbero essere fonte di immensa soddisfazione, li abbiamo fatti scomparire in quanto non permettevano più la sussistenza, come descrive Louis Malle alla fine del bel documentario “God’s Country”. Abbiamo invece innalzato e premiato sommamente i lavori che presiedono a questo sistema fortunatamente deprimente, dal politico al banchiere, all’agente di borsa. E nonostante tutto c’è ancora molto da fare. Ci sono a tutt’oggi infermieri/e che amano accudire ai malati, netturbini che amano pulire le strade e che sanno quanto il loro lavoro sia importante, sparuti agricoltori che continuano a fare il loro lavoro godendo della millenaria saggezza del seguire il tempo della natura e delle stagioni, per quanto pesticidi e OGM e sussidi all’agricoltura (per manipolarla e dirottarla verso “le esigenze del mercato) stiano cercando di far scomparire del tutto, anche solo per motivazioni economiche, queste figure esiziali.
E anche tra le professioni cosiddette intellettuali, esistono a tutt’oggi medici che curano per la gioia di curare, anziché per arricchirsi, anche se questo ovviamente presenta i suoi inevitabili svantaggi di carriera, ci sono psicologi che amano cercare di risolvere i problemi delle persone anziché assicurarsi da loro un reddito ad vitam proporzionale ai loro problemi, avvocati che aiutano veramente i loro assistiti senza vendersi al miglior offerente, e insegnanti che mantengono la gioia di trasmettere il sapere. Così come ci sono, ahimè, persino molti handicappati che danno il cattivo esempio, e che anziché approfittare di una posizione di partenza per chiudersi nella depressione e nella disperazione, vivono sovente facendo molte più cose dei cosiddetti normali, (termine che è già deprimente di per sé, fortunatamente).
Per esempio i ciechi, che è spesso possibile vedere girare per le città con un sorriso molto più radioso della media dei cosiddetti “vedenti”. Vedenti che invece, saggiamente, soprattutto nelle grandi città come Milano, si prevengono dai mille pericoli del contatto con gli altri, con la formula sempre verde, anzi, sempre grigia, dello sguardo cupo e accigliato, e la pronta risposta, se qualcuno li osserva: “Che cazzo guardi?” Ci sono poi gli handicappati che fanno le paraolimpiadi e quelli senza braccia che dipingono con i piedi,

i ciechi che giocano a calcio con palle sonorizzate che così è possibile inseguire,

e sordi come Beethoven che scrivono la nona sinfonia.
Ci sono handicappati senza gambe che scalano montagne,
e quelli paralizzati che vanno in barca a vela,
o addirittura dopo anni di sport in carrozzella riprendono a camminare, non mostrando alcun rispetto per la scienza medica.

C'è stato persino che ha scritto un libro sbattendo le palpebre! Che orrore!

Un altro degli esempi più ignominiosi in tal senso è Simona Atzori,un’insolente donna senza braccia che, anziché chiudersi a piangere e a fumare, il ché già potrebbe sembrare difficile, senza braccia, si è addirittura permessa di parlare della sua gioia di vivere in libri e conferenze e quadri, e ha avuto persino l’ardire di… ballare!

Di fronte a queste degenerazioni non possiamo che guardare con fiduciosa speranza a tutti quelli e quelle che al contrario riescono a evitare questi scempi, e che pur fisicamente sani, pur dotati di intelligenza normale, pur camminando e vedendo perfettamente, pur senza alcuna compromissione della loro sessualità né capacità lavorativa, si rinchiudono in un sonno quasi eterno, comunque aiutato con gli psicofarmaci, non facendo null’altro, nei loro rari momenti di veglia, che piangere, guardare il soffitto e fumare.
Ma siamo almeno consolati dalla certezza che anche la psichiatria ci fornirà un grosso aiuto, nei prossimi anni e decenni a venire, e che in un futuro sempre più vicino, come spesso predicono, vi saranno sempre più depressi, e sempre più incurabili. (Psico)farmaci a parte.

12 commenti:

  1. cosi` lungooooooooooo..non ho finito di leggerlo!

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    1. Ottimo!E' uno dei primi sintomi! no dai scherzo...

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  2. A me è piaciuto molto questo articolo .. l'ho trovato tristemente vero. Purtroppo sono tra quei "quasi" depressi, "quasi" asociali e molto apatici. Sto cercando di uscirne in qualche modo, ma è complicato cambiare la propria visione delle cose... è snervante perchè si vedono solo piccoli risultati. A livello razionale poi ti senti molto male anche perchè pensi a chi pur avendo avuto problemi più grossi dei tuoi non si lamenta e sorride alla vita. Grazie di averlo scritto. A.

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  3. Caro anonimo, ti ringrazio anche perché questo testo, così come "diventa depresso in 10 mosse", anch'esso nel sito, potrebbe essere interpretato come una minimizzazione/ridicolizzazione della depressione, invece rivelano di apprezzarlo persone che in un modo o nell'altro ne soffrono o ne hanno sofferto.
    Io credo che la sofferenza faccia parte della vita, e la depressione sia, detto in modo umanistico, un modo involontario di aumentare/estendere in qualità e quantità la sofferenza cosiddetta "normale". Il resto è spesso la peggiore psichiatria, (quella più in auge), business, industria farmaceutica e manipolazione come sistema di vita, anzi di morte. Non so dove e come hai visto questo sito, mi piacerebbe che tu fossi a Milano, per parlarne di persona. Ma anche se no, scrivimi, ti risponderò con piacere.

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  4. Posso darti del tu anch'io? Trovo sia più facile scrivere così.
    Ho cercato la parola "asociale" insieme a qualche altra come terapia comportamentale.. ora non ricordo. Ti faccio i complimenti per il blog che ho riguardato con maggiore attenzione oggi. Secondo me indubbiamente hai ragione sul fatto che l'industria farmaceutica ci marcia sopra ( e oltre ad abbassare le soglie della malattia introduce "malattie" nuove spesso riconducibili semplicemente al protrarsi dello stress. Non penso di essere mai stata veramente depressa, non ho modo di saperlo ma anche se ad una persona viene diagnosticata la depressione che cos'è quella se non un'altra etichetta? A volte mi trovo a pensare che forse se non si cercasse di mettere etichette a tutto si starebbe meglio. Tutto questo concentrarsi sul problema non aiuta a trovare soluzioni... la mia personale soluzione la sto trovando nell'osservare la natura, fare ginnastica, curare il cibo e da un paio di mesi uscire di casa solo se strettamente necessario. Riguardo quest'ultimo punto inizio a preoccuparmi... per quello cercavo informazioni sulla asocialità !

    Ci stavo pensando da un po' di tempo (perché non ne ho mai visti) sarebbe una bella idea se oltre al tuo blog si creasse un forum di discussione parallelo, una sorta di rete di auto-aiuto e aiuto per tutte le persone che sono interessati a cambiare stile di vita o attraversano un brutto periodo... Il nome del tuo blog è geniale e non credo esista un nome più appropriato.
    A.

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  5. Carissima, sono perfettamente d'accordo con te sull'industria farmaceutica, se vuoi approfondire puoi leggere Big Pharma e/o vedere i numerosi video inerenti già presenti in questo sito. (Inventori di malattie, business farmaceutico, il mio articolo "il ciclo iatrogeno dell'industria farmaceutica").
    Rispetto alla questione dell'uscire di casa: ovviamente non conosco minimamente la tua situazione e stile di vita, e tutto è relativo alla propria condizione familiare, lavorativa, economica, ecc. Ma complessivamente io direi che se lo stare più con se stessi vuol dire disperedere meno energie, smettere di distrarsi per nascondere i propri problemi, coltivare più delle proprie passioni che non necessitano della presenza altrui, è una cosa positiva. Se invece vuol dire ritirarsi dal mondo per sfiducia e delusione da cui non si riesce a uscire, allora può essere pericoloso. Per quanto riguarda il gruppo, c'è già in facebook (orribile cosa) https://www.facebook.com/groups/laboratoriodifelicitologia/ che quindi può essere anche usato potenzialmente per chattare, non ho le conoscenze tecniche per implementarne una qui ma l'idea potrebbe essere carina, anche se pure identificarsi coi gruppi di auto-aiuto è un'altra trappola...
    Una curiosità: come hai visto/saputo del sito? Ciao e grazie

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  6. Ho fatto una ricerca su google sull'asocialità. Sono entrambe: sono contenta della mia libertà e di avere tempo per approfondire il mio mondo interiore però sono anche sfiduciata nei confronti del mondo... sono piuttosto delusa ma al contempo più guardo il mondo da lontano più mi sembra vivibile e le persone che lo abitano non possono nuocermi (anzi mi sembrano meravigliose). Identificarsi con i gruppi di auto-aiuto è dannoso? Questa è un eventualità che non avevo mai considerato... forse se sì è molto dipendenti sì...

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  7. la frase "Nel mondo ma non del mondo" (Bibbia, Gnosi...) dice tutto no? Quello che riusciamo a vedere negli altri (e a tirare fuori) dipende anche da noi.
    Identificarsi coi gruppi di auto-aiuto può essere dannoso, per il semplice e logico (matematico) motivo che se io mi trovo bene in un gruppo col quale sono accomunato dall'alcolismo, dalla depressione, ecc., sarà un motivo in più per continuare a essere alcolista, depresso, ecc., altrimenti perderei il gruppo al quale mi sono tanto affezionato. Capisco che ciò va controcorrente rispetto a tutti i luoghi comuni che ci spingono a renderci sempre più dipendenti e deboli, anziché forti e sani, ci sono grossi interessi dietro. E questo senza nulla togliere alla buona fede di tutti quelli che ci lavorano, ovviamente...

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  8. ma naturalmente questo non va inteso in senso integralista... la vita ha i suoi sentieri più diversi e più contori, talvolta PERSINO la psicoanalisi può essere utile... Per cui...

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  9. Sei violentemente ignorante e abominevolmente semplicista, ragioni per categorie e stereotipi, non immaginando nemmeno la complessità che si cela dietro ciò di cui hai la presunzione di parlare. E lo sfoggio dei tuoi interessi culturali e Artistici rientra tristemente in una mera dimensione di Apparenza. Vai in libreria e cerca " Avere o Essere " di Fromm e con esso dirigiti alla cassa con gli occhi semichiusi, altrimenti rischi di spendere una fortuna, furiosamente desideroso di mostrarti colto, comprandoti dozzine di libri di cui non capirai mai nulla. Stronzo!

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    1. Grazie del tuo contributo. Ti confesso che mi aspettavo di ricevere subito dopo la pubblicazione un attacco simile, non dopo 6 mesi! Ma mi fa piacere perché vuol dire che anche dopo non averci scritto puù nulla per parecchio qualcuno continua a vederlo. Rispondo nel merito del tuo commento:
      "Lo sfoggio dei tuoi interessi culturali e Artistici rientra tristemente in una mera dimensione di Apparenza". Permettimi di dire che l'osservazione è un po' pomposa. Cosa non è apparenza? I tuo commenti? Ti concedo però che quella parte può sembrare un po' tirata ed egocentrica. Vero. Ma innanzitutto è un post in un blog, non I Promessi Sposi. Poi, vedi mi è nato e venuto così quando l'ho scritto e stralciare quella parte, a meno di fare modifiche molto elaborate, cosa di cui non avevo voglia, l'avrebbe fatto risultare falso, e incomprensibile la parte successiva. Se vai al di là della mia "apparenza", come tu la chiami, vedrai che dal cosiddetto sfoggio dei miei interessi spazio poi a mille altre cose che, ahimé, mi sarebbe piaciuto fare e non ho fatto (la qual cosa m'induce in tristezza... e non parlo di depressione anche se qui il discorso sarebbe più lungo...) Invece "Avere o Essere" l'ho letto parecchi anni fa, ma ti confesso che è uno dei libri che avevo in progetto di rileggere già prima del tuo garbato suggerimento. Non capisco però perché questo dovrebbe smentire ciò che dico: forse che Fromm pone nella dimensione dell'essere lo stare a fumare tutto il giorno guardando il soffitto e in quella dell'avere il surfare tra le mille possibilità che la vita ci offre? Non mi pare proprio. Ma su questo ci tornerò. In quanto agli occhi semichiusi in libreira, ti confesso che già lo faccio, perché troppi sono i libri che m'interessano nelle librerie, anche se non ci sono molti che meriterebbero di starci, e viceversa, per cui ci entro solo quando strettamente necessario e quando so già che cosa comprare. Ma leggo così poco! Dovrei leggere senz'altro di più! Allora sì che potrei sfoggiare una grande, apparente cultura! Ma perché questa acrimonia nei miei confronti? Lasciami indovinare. Sei un depresso (o depressa? Mi sembri più un uomo dalla "sensibilità") che ti sei sentito attaccato. Ti sembra che voglia colpevolizzarti solo perché ho scritto che non sei vittima impotente di un virus che ti è caduto in testa come un cornicione e che ti è entrato in testa penetrando persino la dura madre (lo strato che protegge il cervello dagli urti ed elementi esterni). In realtà ho solo detto che così come nella depressione si entra (nessun bambino nasce depresso!) se ne può anche uscire, a differenza di quanto dicono molti rispettabili e pagatissimi psichiatri, che suggeriscono l'avvelenamento da farmaci a vita. Quelli, sono sicuro, ti piaceranno di più. Certo non è che uno monta sul surf e ne esce, e non vuol dire che non possa avvalersi di aiuti (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, o eventualmente anche cartomanti, sto facendo un discorso molto anticorporativista, essendo io psicologo, ma ci tengo a sfoggiare la mia apparenza). Ma torniamo a Fromm. Dunque rientrano nella dimensione dell'avere il fare sport, teatro, fotografia, tutta la cultura, umanistica e scientifica, oppure il mio odio verso la cementificazione, (lo so che in omaggio all'apparenza non dovrei usare questo termine così inviso al buonismo, ma pazienza), l'amore per i viaggi, per gli animali, per la natura, o il piacere di fare il lavoro che si fa, oggi che, a proposito di avere, ogni lavoro è considerato solo in base alla retribuzione che se ne riceve, per cui i lavoro più stimati e pagati sono quelli più inutili o esiziali? (Calciatore, banchiere, politico se ci mettiamo anche le tangenti), tutto questo rientra per te nella dimensione dell'avere, mentre il tuo deprimerti rientra in quella dell'essere, lungi da ogni apparenza?

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    2. Un'ultima osservazione. Il tuo epiteto finale (oltre al coraggio di non firmarti) fa perdere di eleganza all'intervento. Sono d'accordo che voleva essere una specie di rigagnolo che s'ingrossava in un insulto finale a mo' di fuochi d'artificio, ma avresti potuto conservare la struttura concludendo con un più simpatico "imbecille"! O "idiota"! Invece così ti perdi nella volgarità, dopo quel poetico (ma un po' banale) accenno agli occhi semichiusi in libreria...
      Alla prossima, e continua a leggermi, ci tengo!

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