mercoledì 29 agosto 2012

Psico-recensione di GATTACA


Corso di “Psico-cineforum”, Scuola “F. Besta”, a.s.  2011/12, prof. De Domenico

Innanzi tutto una premessa. Ho scelto per primo questo film perché parla di un uomo che crede in se stesso e lotta contro i pregiudizi e la discriminazione. Anche se questo ce lo rende un eroe, è chiaro che questo non dovrebbe accadere.
Al contrario, la società dovrebbe dare a tutti la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità indipendentemente dall’etnia, dal colore della pelle, ecc., ma questo dovrebbe valere anche a livello familiare. Dovrebbero essere cioè in primis i genitori a dimostrare fiducia nei figli, così come gli insegnanti e gli educatori in generale, anche perché, come è esperienza di ciascuno/a di noi, il desiderio di non deludere chi crede in noi è più forte e potente nello spingerci a fare il nostro dovere più di quanto lo siano le minacce e le punizioni. Purtroppo non sempre gli stessi genitori sono consapevoli di ciò.

Il titolo Gattaca proviene dall’acronimo delle 4 basi del DNA: guanina, adenina, timina e citosina.

“Chi può raddrizzare ciò ch’Egli ha fatto storto?” Ecclesiaste 7,13
“Non penso solamente che interferiremo con Madre Natura, ma anche che lei lo voglia”.
Entrambe le citazioni, la prima dalla Bibbia e l’altra di uno psichiatra ci annunciano uno dei temi del film: il rapporto degli esseri umani con la scienza e con la conoscenza. Ricordiamo che anche nel mito di Adamo ed Eva l’albero da cui non si sarebbero dovuti cogliere i frutti era “l’Albero della Conoscenze del Bene e del Male”.
Quanto la scienza, la conoscenza e la morale, che si intrecciano inevitabilmente, ci possono aiutare? E quanto invece possono condizionarci negativamente, finendo talvolta con l’imprigionarci?
Anche le scene iniziali su cui scorre la sigla riportano delle immagini emblematiche della storia, rappresentate tra l’altro “in negativo”, come il rullino di una macchina fotografica non ancora sviluppato, per ricordare già un doppio, due realtà che si fronteggiano, per certi aspetti in lotta tra di loro, per altri completandosi.
Fin dalla prima scena vediamo anche un altro contrasto: il film è ambientato nel futuro, “un futuro non troppo lontano”, eppure alcuni suoi elementi sembrano riportare agli anni ’50: le automobili, l’abbigliamento.
Con ciò il regista ci rimanda al cinema noir[1], ed è anche un modo per segnalare che i temi fondamentali dell’animo umano e della vita sono sempre gli stessi, pur ripresentandosi in diverse forme. L’accento è perciò in primo luogo su una dimensione intrapsichica e una relazionale, anche se narrate, per paradosso, attraverso la scienza, usata in modo da squalificarle ed escluderle.

Scena del test antidroga: “Chissà perché i miei non me ne hanno ordinato uno così!?” Questa è la prima frase del film che ci informa di qualcosa di anomalo: parlando di un organo del corpo lo scienziato parla come se questi potessero venire ordinati, come dei piatti al ristorante.
L’attore comincia a spiegare direttamente in prima persona, parlando di quoziente genetico. Attenzione: non parla di un quoziente intellettivo, ma genetico, cioè una valutazione complessiva di tutti gli aspetti del patrimonio genetico, positivo e negativo, dalle aspettative di malattia all’intelligenza, dalla salute mentale ai vari talenti naturali…
“Si diceva che un figlio concepito nell’amore avesse maggiori probabilità di essere felice. Oggi non lo dicono più”.
“Non capirò mai cosa avesse spinto mia madre ad affidarsi a Dio invece che al genetista del luogo”. Mentre scorrono queste parole vediamo un Rosario, che simboleggia a mio avviso non tanto l’adesione a una determinata confessione religiosa, quanto piuttosto la fiducia in un legame con un ordine superiore che ci aiuterà e ci dimostrerà amore. La parola religione viene infatti dal latino “religio”: legame. Questo legame è spezzato dalla scienza che nel film ha reso tutto artificiale, compresa la riviera costruita dalla Detroit.
Vincent, nascendo in modo naturale, ha un DNA “naturale” che nel suo caso risulta fortemente svantaggioso: vengono elencate le probabilità statistiche delle malattie e disturbi che avrà, e persino l’aspettativa di vita.
In realtà il “fenotipo” si realizza non solo sulla base del DNA[2] (genotipo) ma anche dell’ambiente, delle relazioni, dell’alimentazione, ecc. Questo vale anche in ogni aspetto della salute, sia fisica che psichica.
Ma secondo il mondo genoista tutto è già predeterminato dalla nascita, e anche la nascita stessa è predeterminata con le modalità decise dagli scienziati, che si sostituiscono al caso, come invece è avvenuto per ciascuno/a di noi.
Nonostante tutto la mamma di Vincent dice: “Farà grandi cose, farai grandi cose”.
Il padre, invece, appreso che il bambino avrà dei problemi, non lo chiama più “Anton”, come desiderava, ma Vincent, lasciando Anton come secondo nome.
Chiamerà Anton il secondo figlio, quello che verrà ritenuto il migliore, e ne sarà fiero!
Così come si era fidata della natura facendo nascere Vincent in modo naturale, cioè con un DNA casuale, come tutti noi, la madre continua inizialmente a mantenere la sua fiducia nel bambino, fiducia che però verrà sempre più smorzata, e infine annullata dalle pressioni del mondo circostante. In un mondo in cui tutti i bambini nascono “programmati al computer” Vincent non viene neppure accettato dagli asili, perché tutti temono che possa farsi male e doverne rispondere, e le assicurazioni non sono disposte ad accettare questo rischio.
“Fin da piccolo imparai a vedermi come mi vedevano gli altri: malato cronico. Una sbucciatura o un graffio venivano considerati un pericolo di morte”

Mi pare non ci sia nessun commento da fare su queste parole, ma osservarne solo la profondità e attualità. I genitori di Vincent decidono di far crescere il secondo figlio programmando il suo DNA al computer, un metodo quindi del tutto innaturale, che però, poiché lo fanno tutti, finisce con l’essere considerato il “metodo naturale”.

“Pensavamo se non fosse anche lasciare qualche cosa al caso…”

I genitori di Vincent sono coraggiosi: nonostante il primo figlio concepito in modo veramente naturale ma col quale hanno incontrato dei problemi, desiderano evitare che il secondo non abbia malattie, ma soltanto reali malattie, non programmare tutto il suo DNA al computer. Ma la risposta del genetista è chiara e pressante:
“Fate che vostro figlio parta in posizione di vantaggio”. Tutta la vita è ormai diventata un’orribile competizione fin dal concepimento. Come in una missione spaziale, niente dev’essere lasciato al caso. Tutto è ordinato, calcolato e previsto dalla scienza, o si crede che così possa essere.
Perché Vincent sogna fin dall’inizio di andare nello spazio? In “psicoanalitichese” potrebbe essere una forma di sublimazione: vivendo in un mondo a lui ostile cerca di difendersi e di allontanarsene, dunque non lotta contro l’ordine sociale, ma sogna una meta socialmente accettata, anzi ritenuta di prestigio.
Anche se nel suo caso questa meta implicherà ingannare l’ordine sociale stesso.
Prevalgono fin dall’inizio due tonalità principali, ottenuti con dei filtri fotografici e/o con dei tipi di pellicola: una calda, giallo-arancio, l’altra fredda, grigia, metallica.
E’ come se in tal modo il regista sottolineasse il calore della vita vera, più vicina alla natura, in contrasto con un mondo in cui la scienza è divenuta una dittatura al servizio dell’economia.
Il genoismo era divenuta la nuova forma di discriminazione , in cui le persone erano discriminate non più per il colore della pelle ma per la “qualità del proprio codice genetico”. Le procedure che Vincent descrive per identificare il patrimonio genetico di chiunque sono già reali e utilizzate, in molti casi giustamente, per esempio dalla Polizia quando deve indagare in omicidi e altri reati. In altri casi, in particolare negli USA, si stanno già verificando situazioni di abusi da parte di aziende, che indagano le caratteristiche genetiche dei candidati a un posto di lavoro.
Naturalmente sono abusi  illegali in tutto il mondo, almeno finora.
“Ma quel giorno successe qualcosa di diverso. Ogni volta che Anton tentava di distaccarmi, mi trovava sempre vicino a sé. Poi, finalmente, accadde l’impossibile.
…Mio fratello non era forte come credeva, e io non così debole. E quel momento rese possibile tutto il resto”.
Lo psicoanalista Alexander fu il primo a parlare nel 1956 di esperienza emozionale correttiva, ma questa espressione verrà poi riutilizzata e interpretata in modo lievemente diverso anche da altri gruppi e psicoterapie molto lontane dalla psicoanalisi. Si intende con EEC un’esperienza così forte e intensa ché dopo di essa, appunto, nulla è come prima perché abbiamo imparato a vedere il mondo “con occhi nuovi”. Come diceva Marcel Proust: “Viaggiare non è andare in nuovi posti ma vedere con nuovi occhi”.

“Se potesse ancora correre”: l’illusorietà di poter determinare il controllo della vita ci viene reso drammaticamente con l’immagine di un uomo geneticamente eccellente ma rimasto paralizzato a causa di un incidente.
“Qualcuno guarda più le foto?” In un mondo in cui tutto funziona coi codici binari 01, dove tutto è organizzato, gestito e controllato dai computer e dalle macchine, il viso, la voce, lo sguardo, tutto ciò che è umano ha perso ormai d’importanza.
La frase espressa con decisione “Questo non lo faccio” e l’immagine successiva della sega crea un contrasto abbastanza brutale, per farci immedesimare nei sentimenti di Vincent.
“Chi li ordina più i mancini ormai?” Anche questa frase da sola basta a dipingere un mondo completamente conformato e omologato, dove anche il semplice essere mancini viene visto come una cosa “diversa” e in quanto tale da evitare, anche se tutte le statistiche e l’esperienza ci dicono che molti mancini si distinguono per sensibilità, creatività e vivacità di pensiero.
“Jerome era stato progettato con tutto quello che serviva per entrare a Gattaca.
Salvo il desiderio di entrarci”. Questa frase ci indica come in quella società tecnocratica non siano minimamente considerate la volontà degli individui, le motivazioni, e siano assenti non solo i valori umani, ma gli stessi rapporti umani. Jerome, come gli altri, era stato “progettato”, proprio come un computer assemblato, come una macchina a una catena di montaggio, ma mettendo i “pezzi migliori”.
Dopo la prima mezz’ora compare una doppia scala a chiocciola, che rappresenta la doppia elica del DNA che ha condannato Vincent a una vita di reietto e Jerome a una vita apparentemente troppo facile senza nulla per cui lottare. L’avevamo già vista nell’incontro dei genitori col genetista, dietro di lui.
Pirata genetico: il concetto di pirateria assume in questo caso un valore positivo, in quanto per noi il protagonista è un coraggioso che non ha fatto nulla di male ma che si ribella a una società genoista, che è una variante del razzismo.
“Dicono che l’assenza di gravità sia come entrare nel ventre materno”: questa frase di Jerome sembra confermare l’origine psicologica profonda del suo desiderio di andare nello spazio, come ritornare al grembo materno per ricominciare daccapo in un modo più fortunato.
Jerome, progettato per essere il migliore, è un essere che non ha alcun motivo per vivere, e passa il tempo a drogarsi e ubriacarsi, per questo quando la sua identità viene rubata da Vincent, che si avvale finalmente di tutte le qualità e i privilegi “genetici” che Jerome aveva, questo gli dice “Sono fiero di te”.
E’ come se Jerome regalasse a Vincent il suo lasciapassare e Vincent si liberasse grazie a Jerome di tutte le sue discriminazioni e oppressioni.
E’ il tema del doppio,[3] ricorrente nell’‘800 e nel ‘900, in primo luogo per esempio in Dostoevski, in Oscar Wilde, in Stevenson (Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde), ripreso più volte anche nel cinema ((Fight Club, La donna che visse due volte, l’Uomo senza sonno e mille altri).

Al 45° minuto c’è questo dialogo:
“Nessuno supera il proprio potenziale.
-         E se lo fa?
-         Vuol dire che non abbiamo misurato abbastanza il suo potenziale!”

Questo illustra la fallacia di alcune procedure pseudoscientifiche, e non solo: con questo sistema nessun tipo di test può essere messo in discussione, perché, se fallisce e se non riesce a predire alcunché, se ne deduce solo che il test stesso era stato eseguito male. Il pensiero va ai test d’intelligenza in auge negli USA nei primi decenni del secolo scorso, dove molti bambini italiani europei o sudamericani o asiatici vennero discriminati perché rispondevano sbagliando, o non rispondevano ai test d’intelligenza che gli chiedevano domande sul baseball, che ovviamente era conosciuto allora quasi solo negli USA. (E non c’era internet!)
Sembra assurdo ma è storia. Oggi i test d’intelligenza vengono continuamente ritarati, cioè i loro risultati vengono riconsiderati continuamente confrontando le risposte con quelle di nuovi campioni statistici per ogni età, e si cerca di fare in modo che siano il più possibile cultur-free, cioè svincolati dalla cultura locale/nazionale, ma il pericolo del dogmatismo e della autoreferenzialità è sempre presente in ogni sistema di pensiero.
La scena in cui Irene dà a Vincent-diventato-Jerome il suo capello per fargli analizzare il suo dna, dicendogli “Se ti interesserò ancora fammelo sapere”, rivela la brutalità e l’aridità di un mondo in cui il valore degli esseri umani viene misurato sul loro patrimonio genetico, brutalità divenuta però la norma, un po’ come oggi veniamo abituati a valutare le persone in base ai loro averi materiali, e non per quello che sono. Lui, facendo cadere il capello volontariamente e platealmente dichiara in tal modo di non avere alcun interesse per l’insieme dei geni e per le probabilità statistiche ad essi correlate, ma solo per la donna che ha davanti, con tutte le sue qualità e difetti, nel suo modo di essere giorno per giorno.
Il direttore di Gattaca gli fa una domanda superflua per guardarlo bene in viso e confrontarlo con l’immagine diffusa dell’In-Valido, e la sua faccia accigliata fa pensare che abbia dei dubbi sull’identità di Vincent-Jerome, ma forse decide di far finta di niente, o vuole scartare l’idea che l’In-Valido sia proprio Vincent perché si è affezionato a lui?
Quando Jerome crede di dover scappare perché presto verrà scoperto, è il vero Jerome a insistere perché lui continui nel suo tentativo, con queste parole:
“Mi sarei venduto a qualcuno con più spina dorsale, – ma il termine inglese è brave (coraggioso), – se avessi saputo che tu mi avresti abbandonato e proprio sul più bello. Non puoi piantarmi in asso proprio adesso. Ho investito troppo in questa storia”. Più avanti affermerà: “Io ti ho prestato il mio corpo, tu mi hai prestato i tuoi sogni”.
Il vero Jerome, che non ha mai avuto una motivazione per vivere, che ha avuto la vita costruita fin dall’inizio da chi ha progettato il suo DNA eccellente, e che anche per questo viveva come un fallimento le sue medaglie d’argento, adesso vive nell’attesa che Vincent raggiunga il suo sogno, con la sua identità. I sogni di Vincent sono diventati suoi.
Quando Vincent dice: “Se non uscissi desterei dei sospetti”, con indosso i suoi occhiali che non dovrebbe più indossare quando è Jerome, il vero Jerome gli indica l’errore, dicendo: “E tu vuoi destare dei sospetti”. E’ come se una parte di Vincent volesse essere scoperta e il suo inconscio si esprimesse con quest’ “atto mancato”.
La scena in cui il poliziotto dà dello “storpio” al vero Jerome, – col bellissimo sottofondo del pianoforte, durante il concerto a cui è andato Vincent (colonna sonora interna) –  ci mostra di nuovo un’umanità con un grande progresso tecnologico ma con una povertà interiore desolante: la discriminazione, l’arroganza e la prepotenza che si ripetono, seppure nelle sue varianti in parte simili e in parte diverse: il genoismo (il nuovo razzismo), la segregazione, il classismo verso chi è considerato inferiore per un motivo o per l’altro: che sia un handicap o un dna casuale, mentre il controllo del locale dove “abitualmente vanno gli in-validi” fa pensare ai ritrovi per gay.
Vincent e Irene escono dal concerto, e contemplano la foto del pianista con 12 dita, ovviamente un risultato voluto dai selezionatori del dna. Quando Vincent afferma “12 dita o uno, dipende da come suoni”, lei risponde, risolutamente: “Ce ne vogliono 12 per quel pezzo”. Il sistema ha convinto la massa che quello è il migliore dei mondi possibili, tanto che certi pezzi musicali non si potrebbero neanche suonare con 10 dita, il che è un falso perché il pezzo suonato è di musica classica e quindi ovviamente si suona benissimo con dieci dita. E’ quello che avviene ogni volta che diamo per scontato che le cose possano essere solo come le vediamo o ce le fanno vedere.
Quando il detective ipotizza il movente del direttore di Gattaca, che cioè  avrebbe potuto opporsi alla missione, quello risponde: “Rilegga il mio profilo genetico, ispettore. Vedrà che non c’è nemmeno un’unghia di violenza”.
In realtà proprio lui si rivelerà essere l’assassino, e sarà l’ennesima dimostrazione che non esiste alcun determinismo/ineluttabilità tra dna e azioni che compiamo: il direttore non era predisposto alla violenza, ma la sua motivazione perché la missione proseguisse era tale che ha infranto la sua indole di per sé pacifica, uccidendo il direttore di missione. Nella scena in cui lui prende a pugni il poliziotto e scappa con Irene, Anton getta la maschera e chiama apertamente per nome il fratello: “Vincent!”. Da tempo ha capito tutto, anche perché conosceva l’ossessione che Vincent aveva per lo spazio fin da bambino. Vincent, vicino a essere acciuffato, è rappresentato con l’ombra di una grata che lo copre per intero, insieme a Irene.
Come i suoi genitori quando lo avevano generato, Vincent e Irene fanno l’amore vicino al mare, simbolo della sessualità e della stessa natura, e l’immagine è capovolta, come se l’amore tra i due permettesse finalmente di sovvertire le crudeli regole della società genoista. Grazie all’amore, e sfidando anche la legge, Irene e Vincent sono riusciti a superare i loro limiti.  Lui è andato oltre il suo odio per il mondo e la sua separatezza dal mondo dei “validi”, tanto che a lei aveva dichiarato poco prima: “E’ buffo. T’impegni tanto, fai tutto quello che puoi per scappare da questo pianeta, e quando finalmente il tuo sogno si avvera, trovi un motivo per restare”. Irene, invece, che aveva fino allora sempre creduto in quell’ordine sociale gretto e disumano, s’innamora del de-gene-erato, il pirata genetico, che viola la legge fondamentale di quella società.
“Jerome, per oggi devi essere te stesso!”
-         “Sai che è una cosa in cui non sono bravo!” Proviamo per un attimo ad astrarre la frase dal film: quanto siamo bravi a essere noi stessi, ogni giorno?
E chi siamo noi stessi? Quanto siamo noi stessi/e e quanto siamo invece quello che  altri/e desiderano che noi siamo?
Per Anton ormai è una questione personale. Esclude deliberatamente il collega, non gli rivela quello che ormai sa, e va a trovare da solo Vincent, prima a Gattaca, poi a casa. La scena in cui il vero Jerome si arrampica sulla scala a chiocciola, con la tipica torsione del dna, è fortemente simbolica: lui, che avrebbe dovuto avere una vita facile per il suo dna “di partenza”, è costretto a fare in quei momenti quello che Vincent ha fatto per tutta la vita: superare la condanna di un dna “sbagliato”, cioè casuale, come è nella natura delle cose.
Quando Vincent è infine costretto a rivelare a Irene la verità, che lui è un de-gene-erato, le dice: “Ti costringono a cercare anche i minimi difetti. E dopo un po’ non vedi altro che quelli”. E’ un po’ quello che avviene oggi con certi problemi/disturbi/malattie, e non solo, soprattutto nel campo psicologico e psichiatrico, dalla depressione alle dipendenze all’iperattività: si  insiste sulla loro origine esclusivamente biologica e genetica in particolare, si annulla ogni possibile motivazione e azione che possano apportare un cambiamento, relegando la soluzione ai farmaci, si cercano i sintomi, finché si trovano, e si occulta tutto ciò che va contro la teoria stabilita. Proprio come aveva affermato il direttore di missione:
“Nessuno supera il proprio potenziale.
-         E se lo fa?
-         Vuol dire che non abbiamo misurato abbastanza il suo potenziale!”
Per Vincent, invece, tutto è possibile. Purché ci si creda.
Quando i due fratelli si parlano apertamente ed Anton gli comunica la sua minaccia di denunciarlo, Vincent gli risponde:
“L’unico modo che hai per vincere è vedermi sconfitto?” Quando ripetono la sfida in mare, Vincent salva nuovamente Anton, anche se questo non ha mai fatto nulla per aiutarlo, al contrario, e in tal modo rischia di perdere tutto. Anton, da vivo potrebbe ancora denunciarlo, da morto invece no. Ma Vincent lo salva ugualmente dando prova di una pietà che raramente ha incontrato sulla sua strada.

Raramente, ma qualche volta sì. Infatti, la scena finale è rivelatrice sia per noi che per lo stesso protagonista. Prima di partire gli astronauti vengono sottoposti a un esame che non si aspettava. L’analisi delle urine. Non ha con sé un flacone e non può ingannare l’esaminatore. Durante la procedura quest’ultimo gli ripete quanto il figlio lo ammiri, e dice: “Mio figlio non è come mi avevano promesso, però chissà dove potrà arrivare, non è vero?”
Quando il test rivela che Vincent è invalido, lui si aspetta di essere denunciato, invece l’esaminatore per tutta risposta cambia l’esito col profilo valido, lasciandolo proseguire. Vincent lo guarda con infinita gratitudine, rendendosi finalmente conto che ha potuto fare quel che ha fatto non solo con la sua volontà, ma anche grazie alla bontà e all’aiuto di altri, così come i tedeschi che nascondevano gli ebrei perseguitati dai nazisti. Vincent è stato aiutato da Irene, probabilmente dal direttore della missione, che forse aveva capito, dallo stesso fratello che comunque alla fine aveva scelto di non denunciarlo, e soprattutto dall’esaminatore, che sapeva tutto fin dall’inizio, come gli fa capire raccontandogli di come si era tradito: “Per il futuro ricordati, che chi usa la destra non tiene con la sinistra”.
Nelle ultime scene Vincent si avvia verso il tubo che lo condurrà all’astronave, con un’altra evidente simbolizzazione degli spermatozoi nel loro percorso verso la fecondazione, così come  la botola di chiusura dell’astronave è uguale ai contenitori per il congelamento del seme. L’astronave rappresenta la nascita, è come se lui, partendo per Titanio, azzerasse tutte le difficoltà a cui in realtà è stato condannato non dai suoi geni, ma dalla società che su questi ha eretto un sistema discriminatorio e segregazionista.
E può farlo solo dopo avere risolto il problema col fratello, dopo avere trovato l’amore, un amico che lo ha aiutato, dopo avere scoperto che non era da solo a condurre la sua battaglia ma che altri lo avevano sempre aiutato.
 “Dicono che ogni atomo del nostro corpo una volta apparteneva a una stella. Forse non sto partendo. Forse sto tornando a casa”.




Una piccola precisazione sul fumo: “Gattaca”, ambientato in un’atmosfera a metà tra il futuro e anni ’50, non può non ricalcare la mania di pubblicizzare il fumo (di sigaretta), seppure per poche scene.
Per par condicio e per farvi riflettere sul lavaggio del cervello pro-tabacco che le multinazionalit ci inculcano da decenni, vi suggerisco di vedere questo film:

Thank you for smoking



[1] “Il film noir è un sottogenere cinematografico di film giallo, che ebbe il vertice negli Stati Uniti negli anni quaranta e cinquanta. Oltre al tema di un'inchiesta ed all'ambientazione tipicamente cittadina, il film noir prevede forti contrasti di luci tra bianco e nero, che rappresentano simbolicamente il conflitto tra bene e male”.
(da http://it.wikipedia.org/wiki/Film_noir). Notasi che anche qui c’è un’indagine poliziesca, il dilemma di dove stia il bene e dove il male, mentre il contrasto cromatico è dato non più dal bianco e dal nero ma da colori caldi (anche per i filtri giallognoli) e freddi.

[2] Lo stesso titolo proviene dalle iniziali dei 4 elementi del DNA: guanina adenina, timina e citosina.
[3] Il ‘doppio’, problematica che ora affronterò a proposito della letteratura, consiste nel rapporto molto particolare che vige tra il protagonista del romanzo e, appunto, un doppio che può essere un altro personaggio (come ne ’Il compagno segreto di Conrad), un’ombra, una voce, un oggetto (come ne ‘Il ritratto di Dorian Gray’).Relazione particolare in che senso? In genere è come se il protagonista e il suo doppio facessero parte di un tutt’uno che è stato diviso, e per questo entrassero in una sorta di conflitto, interiore o meno, che deve essere in qualche modo risolto.
(http://www.atuttascuola.it/risorse/italiano/doppio_in_letteratura.htm)

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