Psico-recensione di “Reign Over
Me”, (M. Biden) Scuola “F. Besta”, a.s.
2011/12, prof. De Domenico
Scena del puzzle: il puzzle è
chiaramente una metafora della vita. Tutti i pezzi dovrebbero andare a posto.
Oppure non troviamo qualche pezzo. Oppure: finalmente abbiamo capito come
incastrare i pezzi.
Questo film parla di come la
vita dei protagonisti siano andate in pezzi, (una di più, l’altra meno) e di
come si ricompongano.
Da un insieme di scene capiamo
che il matrimonio di Alan è in crisi.
Fa la posta alla psicologa e non
è minimamente interessato ai discorsi della moglie.
Anche del puzzle, che in teoria
fanno insieme, – ovvio simbolismo della coppia, –
si libera felicemente appena se
ne presenta l’occasione.
“La valle. Più che altro
un’altra dimensione. Tu intraprendi il viaggio e scopri te stesso”. Charlie
Non si ricorda dell’amico con cui pure aveva condiviso la stanza per un anno.
Va in giro per la strada con un monopattino elettrico, cosa di per sé
ecologica, ma lo fa in modo incosciente, per la cuffia che lo estrania
completamente dal mondo circostante. Mettendo insieme queste stranezze con
l’informazione che già abbiamo che la sua famiglia è andata distrutta nell’11
settembre, lo sceneggiatore ci informa subito della tragedia dell’amico, e in
questo modo del tema del film.
Si trova, come lui stesso dice, “in
un’altra dimensione”. Attraverso i suoi deliri è come se Charlie lo
informasse della sua follia. E’ come se gli dicesse: “Vuoi davvero ficcarti
in questo tunnel della mia pazzia?”
Ma dopo che Alan continua a
dimostrare interesse lo fa salire a casa e si rintana nel suo gioco autistico. Quando
è con lui, e solo quando è con lui, sta senza cuffie. E’ già un piccolo
miglioramento, un segno di apertura al mondo, anche se in questo caso il mondo
è solo l’amico.
Attraverso la suocera, che
oltretutto ci serve a scoprire la storia di Charlie, scopriamo che la vita di
Charlie è stata cosparsa di tragedie luttuose: la perdita prima di entrambi i
genitori, da piccolissimo, poi della zia che lo aveva adottato. L’ultima
tragedia che lo ha precipitato nella follia è stata la goccia che ha fatto
traboccare il vaso.
La scena in cui lui arriva
improvvisamente a casa e chiede alla moglie il permesso di uscire per l’amico,
la risposta di Alan e l’occhiata della moglie sono una ironica ma profonda
escursione nei sottili e instabili equilibri familiari che Charlie si accinge a
sconvolgere sempre di più.
Avendo constatato la volta
precedente che non può chiedergli della sua vita, Alan approfondisce l’amicizia
parlandogli dei suoi reali problemi. In questo modo riconquista la sua fiducia
e contemporaneamente riesce a superare un rapporto formale e fasullo da un
lato, pietistico dall’altro.
La scena in cui Charlie resta
completamente insensibile persino rispetto alla morte del padre di Alan rivela
l’egoismo folle in cui si è chiuso, ma anche la sua rigida negazione della
morte dopo i lutti che lo hanno colpito.
Andare alla maratona di Mel
Brooks trascurando completamente i doveri familiari e lavorativi dimostra che
Alan ha ormai perso l’equilibrio tra il desiderio di aiutare l’amico e la sua
vita privata. Ma è potuto succedere anche per la sua insoddisfazione, sia in
famiglia che nel lavoro. “L’ho fondata io e mi trattano come un dipendente!”
Dopo aver scoperto che dovrà
sopportare i parenti e amici di Alan Charlie si rimette le cuffie e rientra nel
suo mondo autistico. L’impatto con gli altri è troppo forte.
La scena in cui lui è nella sala
di lavoro del dentista, surreale, è indicativa di come lui abbia completamente
perso la capacità di frenare il suo amico e si faccia completamente invadere,
così come sta avvenendo in famiglia.
Già era in crisi, ma non voleva
ammettere le sue difficoltà. Invece, nelle discussioni all’inizio del film si
vedeva che lui non aveva più nessun entusiasmo con sua moglie. La coppia non
c’era più.
“Posso dire una cosa Charlie? Potrei farti
arrabbiare di nuovo”.
Si chiama tecnica
dell’anticipazione: mettendo l’altro sull’avviso che quello che si dice
potrebbe non piacere lo si prepara e se ne riduce la portata “trasgressiva”, si
stabilisce con lui un implicito accordo: te l’avevo detto che poteva non piacerti,
ma tu hai scelto di ascoltare. Lei ricorda onestamente che se non arriva mai a
parlare della sua famiglia si sta solo prendendo in giro. Cosa che sarebbe
sicuramente remunerativa e comoda per lei, come psicoterapeuta, ma la sua
onestà e professionalità la fa parlare con chiarezza, a costo di perdere il
paziente.
Dopo che Alan ha detto che non
accetterà più di essere trattato come un dipendente da quelli stessi che si
stanno arricchendo grazie al suo lavoro, spinto dalle parole di Charlie: “Eri
uno che non accettava mai i soprusi”, Charlie gli ricorda che forse non si
stava ricordando proprio di lui, ma di un altro con questa caratteristica.
Sembra solo uno scherzo, una gag, ma ci comunica che ognuno di noi si
comporta e reagisce non solo a quello che gli altri fanno, ma all’immagine che
noi crediamo gli altri si siano fatti di noi. In qualche modo è come se noi ci
sentissimo in obbligo di mantenere un cliché che gli altri hanno delle nostre
caratteristiche positive (ciò che vale anche per la cosiddetta reputazione), e
in genere smentire quelle che sono percepite come nostre caratteristiche
negative. Ma in psicologia le cose sono ben più complesse: spesso, senza
rendercene conto, siamo spinti a mantenere negli altri anche le idee negative
che gli altri e noi stessi abbiamo su di noi: deboli, malati, depressi,
incoscienti, irresponsabili, ecc. Talvolta questo ci solleva da responsabilità
e ci procura diversi vantaggi, anche se questi ci chiudono in realtà in una
gabbia dorata.
L’abilità dei terapeuti consiste
anche nel cambiare le immagini che noi stessi abbiamo di noi.
Scena del processo: l’avvocato
dello Stato, che richiede di far internare Charlie in una struttura
psichiatrica, proprio allo scopo di evidenziare la follia sua, con evidente
sadismo, gli sottopone le foto delle bambine morte, sapendo che lui ha sempre
fatto di tutto per dimenticarle. Il genero, che non riesce a capire il dolore e
la reazione, pur patologica, di Charlie, considera grettamente la sua
incapacità di ricordare come una semplice mancanza d’amore, una sorta di
menefreghismo.
Alla fine i pezzi delle varie
vite in pezzi, quella di Charlie e della sua paziente instabile, saranno
ricomposti.
“Thank you for smoking” su you tube
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