mercoledì 29 agosto 2012

Psico-recensione di "Reign Over Me"


Psico-recensione di “Reign Over Me”, (M. Biden) Scuola “F. Besta”, a.s.  2011/12, prof. De Domenico

Scena del puzzle: il puzzle è chiaramente una metafora della vita. Tutti i pezzi dovrebbero andare a posto. Oppure non troviamo qualche pezzo. Oppure: finalmente abbiamo capito come incastrare i pezzi.
Questo film parla di come la vita dei protagonisti siano andate in pezzi, (una di più, l’altra meno) e di come si ricompongano.
Da un insieme di scene capiamo che il matrimonio di Alan è in crisi.
Fa la posta alla psicologa e non è minimamente interessato ai discorsi della moglie.
Anche del puzzle, che in teoria fanno insieme, – ovvio simbolismo della coppia, – 
si libera felicemente appena se ne presenta l’occasione.
“La valle. Più che altro un’altra dimensione. Tu intraprendi il viaggio e scopri te stesso”. Charlie Non si ricorda dell’amico con cui pure aveva condiviso la stanza per un anno. Va in giro per la strada con un monopattino elettrico, cosa di per sé ecologica, ma lo fa in modo incosciente, per la cuffia che lo estrania completamente dal mondo circostante. Mettendo insieme queste stranezze con l’informazione che già abbiamo che la sua famiglia è andata distrutta nell’11 settembre, lo sceneggiatore ci informa subito della tragedia dell’amico, e in questo modo del tema del film.
Si trova, come lui stesso dice, “in un’altra dimensione”. Attraverso i suoi deliri è come se Charlie lo informasse della sua follia. E’ come se gli dicesse: “Vuoi davvero ficcarti in questo tunnel della mia pazzia?”
Ma dopo che Alan continua a dimostrare interesse lo fa salire a casa e si rintana nel suo gioco autistico. Quando è con lui, e solo quando è con lui, sta senza cuffie. E’ già un piccolo miglioramento, un segno di apertura al mondo, anche se in questo caso il mondo è solo l’amico.
Attraverso la suocera, che oltretutto ci serve a scoprire la storia di Charlie, scopriamo che la vita di Charlie è stata cosparsa di tragedie luttuose: la perdita prima di entrambi i genitori, da piccolissimo, poi della zia che lo aveva adottato. L’ultima tragedia che lo ha precipitato nella follia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
La scena in cui lui arriva improvvisamente a casa e chiede alla moglie il permesso di uscire per l’amico, la risposta di Alan e l’occhiata della moglie sono una ironica ma profonda escursione nei sottili e instabili equilibri familiari che Charlie si accinge a sconvolgere sempre di più.
Avendo constatato la volta precedente che non può chiedergli della sua vita, Alan approfondisce l’amicizia parlandogli dei suoi reali problemi. In questo modo riconquista la sua fiducia e contemporaneamente riesce a superare un rapporto formale e fasullo da un lato, pietistico dall’altro.
La scena in cui Charlie resta completamente insensibile persino rispetto alla morte del padre di Alan rivela l’egoismo folle in cui si è chiuso, ma anche la sua rigida negazione della morte dopo i lutti che lo hanno colpito.
Andare alla maratona di Mel Brooks trascurando completamente i doveri familiari e lavorativi dimostra che Alan ha ormai perso l’equilibrio tra il desiderio di aiutare l’amico e la sua vita privata. Ma è potuto succedere anche per la sua insoddisfazione, sia in famiglia che nel lavoro. “L’ho fondata io e mi trattano come un dipendente!”
Dopo aver scoperto che dovrà sopportare i parenti e amici di Alan Charlie si rimette le cuffie e rientra nel suo mondo autistico. L’impatto con gli altri è troppo forte.
La scena in cui lui è nella sala di lavoro del dentista, surreale, è indicativa di come lui abbia completamente perso la capacità di frenare il suo amico e si faccia completamente invadere, così come sta avvenendo in famiglia.
Già era in crisi, ma non voleva ammettere le sue difficoltà. Invece, nelle discussioni all’inizio del film si vedeva che lui non aveva più nessun entusiasmo con sua moglie. La coppia non c’era più.
“Posso dire una cosa Charlie? Potrei farti arrabbiare di nuovo”.
Si chiama tecnica dell’anticipazione: mettendo l’altro sull’avviso che quello che si dice potrebbe non piacere lo si prepara e se ne riduce la portata “trasgressiva”, si stabilisce con lui un implicito accordo: te l’avevo detto che poteva non piacerti, ma tu hai scelto di ascoltare. Lei ricorda onestamente che se non arriva mai a parlare della sua famiglia si sta solo prendendo in giro. Cosa che sarebbe sicuramente remunerativa e comoda per lei, come psicoterapeuta, ma la sua onestà e professionalità la fa parlare con chiarezza, a costo di perdere il paziente.
Dopo che Alan ha detto che non accetterà più di essere trattato come un dipendente da quelli stessi che si stanno arricchendo grazie al suo lavoro, spinto dalle parole di Charlie: “Eri uno che non accettava mai i soprusi”, Charlie gli ricorda che forse non si stava ricordando proprio di lui, ma di un altro con questa caratteristica. Sembra solo uno scherzo, una gag, ma ci comunica che ognuno di noi si comporta e reagisce non solo a quello che gli altri fanno, ma all’immagine che noi crediamo gli altri si siano fatti di noi. In qualche modo è come se noi ci sentissimo in obbligo di mantenere un cliché che gli altri hanno delle nostre caratteristiche positive (ciò che vale anche per la cosiddetta reputazione), e in genere smentire quelle che sono percepite come nostre caratteristiche negative. Ma in psicologia le cose sono ben più complesse: spesso, senza rendercene conto, siamo spinti a mantenere negli altri anche le idee negative che gli altri e noi stessi abbiamo su di noi: deboli, malati, depressi, incoscienti, irresponsabili, ecc. Talvolta questo ci solleva da responsabilità e ci procura diversi vantaggi, anche se questi ci chiudono in realtà in una gabbia dorata.
L’abilità dei terapeuti consiste anche nel cambiare le immagini che noi stessi abbiamo di noi.
Scena del processo: l’avvocato dello Stato, che richiede di far internare Charlie in una struttura psichiatrica, proprio allo scopo di evidenziare la follia sua, con evidente sadismo, gli sottopone le foto delle bambine morte, sapendo che lui ha sempre fatto di tutto per dimenticarle. Il genero, che non riesce a capire il dolore e la reazione, pur patologica, di Charlie, considera grettamente la sua incapacità di ricordare come una semplice mancanza d’amore, una sorta di menefreghismo.
Alla fine i pezzi delle varie vite in pezzi, quella di Charlie e della sua paziente instabile, saranno ricomposti.                        

“Thank you for smoking” su you tube

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