mercoledì 29 agosto 2012

Psico-recensione de "I 100 passi"


Corso di “Psico-cineforum”, Scuola “F. Besta”, a.s.  2011/12, 
prof. De Domenico
Psico-recensione de “I 100 Passi”, di M. T. Giordana


I 100 passi
La scena ci annuncia subito una biografia. Notate che nella voce c’è un eco che dà un sapore di antico, insieme alla radio in sottofondo. Altrettanto immediato è l’impatto con la figura autoritaria del padre che si preoccupa innanzi di non fare brutte figure.
Anche la canzone, e i caratteri delle didascalie rimandano a un tempo lontano, delle macchine da scrivere anziché di internet.
“Brindo a Cosima, che bella com’è ti verrà facile a fargli fare molti figli!” Rudezza che a noi suona comica e volgare ma normale in un contesto antico, siciliano e di campagna.
“Certo che ci vogliono i piccioli, e noi ce li faremo dare dalla Regione”. Già questa frase, da sola, contiene e preannuncia il tema o uno dei temi del film: il connubio, che purtroppo diverrà sempre più solido nella storia d’Italia, tra mafie e politica.
Le ripetute inquadrature del cruscotto non ci sarebbero state se non per annunciare la scena dell’esplosione. Lo zio vuole bene a Peppino, gli insegna a guidare l’auto. E’ mafioso anche lui, in realtà, ma Peppino lo ama, e il futuro Peppino finirà con lo scagliarsi contro il mafioso Badalamenti che gli ha ucciso lo zio, pur mafioso, a cui voleva così bene.
Nel film traspare come gli elementi razionali e politici non siano gli unici a determinare la storia di Peppino, così come le nostre: gli elementi affettivi, viscerali sono almeno altrettanto importanti. Il suono del clacson è una “citazione” che ci rimanda ineluttabilmente a un capolavoro degli anni ’50: “Il Sorpasso”.
La scena della macchina che finge di investire i vecchi: Tano è l’unico che non accetta il gioco di Peppino e dello zio. Dietro lo scherzo e il sorriso si rivela una profonda insofferenza reciproca. Nei commenti sulle auto che ‘si sono fatti’ questa e quella famiglia e le relative frequentazioni si evidenziano alleanze e lotte tra le future cosche mafiose.
La scena del barbiere è tipica dei film di mafia, e Peppino che gira sulla poltrona ci ricorda una scena di un altro indimenticabile film: “Il Mafioso”, in cui un corpo crivellato di colpi, ormai privo di vita, continua a girare con la sedia.
“Non è a loro che sto parlando, che hanno paura a farsi vedere che stanno ascoltando.
E’ a te, che lo voglio spiegare”.
La piazza vuota durante il comizio, anche se fortunatamente non storicamente realistica,       
è un tragico affresco dell’immobilismo e del conformismo siciliano, pur così coraggiosamente contrastato da uomini come Venuti, poi da Impastato e in futuro da tanti e tante giovani come lui.
Molti lo ascoltano ma nessuno sta in piazza per non essere considerato un seguace o amico del “comunista”, l’unico che scende in piazza è lo zio di Tanino, mafioso ma simpatico e bonario, lo fa per schernirlo e come segno di forza, mostrando di non temere le sue invettive. “E’ il progresso amico bello, che porta posti di lavoro, casa, turismo…” Sembra di sentire esattamente le stesse parole degli odierni sostenitori della TAV, dell’energia nucleare, della cementificazione ad ogni costo, sempre senza mai rispondere nel merito alle accuse e alle argomentazioni contrarie.
Badalamenti racconta alla vedova delle autorità che non sono venute al funerale dello zio di Peppino arrecando varie scuse. In realtà tutto collima con quanto Venuti aveva preannunciato: tutti si erano messi d’accordo alle sue spalle e Manzella era divenuto un elemento d’intralcio.
Manzella perì davvero, storicamente, in quella che venne definita come la prima guerra di mafia. Andare o non andare a un funerale, in ambienti mafiosi, ha una forte significazione politica.
Magistrale la scena in cui Peppino va a Trovare il “comunista”, Stefano Venuti.
Prendendo spunto dal ritratto di Majakovskij, il pittore comunista lo farà innamorare della politica e delle lotte sociali, che si salderanno, inconsciamente per Peppino, al suo odio per la mafia che gli aveva ucciso brutalmente l’amato zio, pur altrettanto mafioso. Il riferimento a Majakovskji non è casuale. Come quest’ultimo, grandissimo poeta e dissidente della rivoluzione russa, ucciso o “suicidato” dal regime, anche Peppino sarà un ribelle rispetto alla sinistra istituzionale e al sistema consociativo dei partiti, e ahimè anch’egli verrà ucciso in modo da far sembrare l’accaduto un involontario suicidio.
“Se lui se la fa con questi morti di fame dei comunisti, io l’ammazzo!”
E’ espressa molto esplicitamente l’idea del padre all’antica: se mio/a figlio/a mi disonora, in un modo o nell’altro, perché “puttana”, o “frocio”, o “comunista”, è preferibile la morte.
I figli non sono amati e accettati per quello che sono ma per il lustro che devono dare al padre. Mirabile anche la scena in cui Peppino convince Venuti a stampare il suo giornale, citandogli la poesia di Majakvoskji, colpendolo nell’intimo, facendo appello alla sua coerenza. Dopo che la madre ha ritirato tutte le copie del giornale, Peppino sceglie la piazza, l’agorà. Urla al mondo intero il suo dissenso dalla famiglia, dal mafiosismo, dal campanilismo, da tutte le gabbie che ci impongono di vivere sempre come gli altri vorrebbero, seguendo un’ideologia o un credo che non ci appartiene. Il film di cui scorre qualche scena, “Le mani sulla città”, di Francesco Rosi, è una memorabile denuncia della cementificazione d’Italia, a braccetto con la corruzione politica, che continua ancora oggi senza tregua a distruggere l’ex Belpaese.
Scene come quelle della fotografia o del ballo, apparentemente irrilevanti, servono per rompere rispetto alla cupezza dei film e a restituirci l’allegria di una gioventù comunque solare piena di vita e di fiducia, senza le quali nessun impegno sociale sarebbe stato possibile.
“Bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza…” Ricordate “La bellezza salverà il mondo” di “Le vite degli altri?”
Nella scena sotto il Comune Peppino prende apertamente le distanze, in quanto avverso agli interessi mafiosi, sia dal padre che dall’amato zio ucciso, sicuramente con un forte costo emotivo.
Significativo che Peppino Impastato apra Radio Out, mezzo indipendente, utile nella lotta sociale, più o meno negli stessi anni in cui Berlusconi, già costruttore di successo, cominciava a costruire il suo impero televisivo, con cui si arricchirà più che mai con trasmissioni come “Amici” e “Il Grande Fratello”, “Paperissima” e via dicendo. Due modi diversi di intendere la comunicazione, e la vita. Nella scena in cui il padre di Peppino è convocato da Don Tano, Peppino parla in pochi minuti di: speculazione edilizia, prostituzione, droga, riciclaggio di denaro sporco e legami con la mafia americana, corruzione e peculato, tutti temi ahimé ancora attualissimi.
Nel richiamo di suo padre al comandamento: “Onora il padre” viene evidenziata l’interpretazione mafiosa della religione. Il figlio dev’essere dalla parte dei genitori, qualunque cosa facciano, nel bene o anche nel male.
Nella poesia in cui si parla dell’amore tra madre e figlio sembra rivelarsi una traccia edipica, come affermerà poi il padre riferendosi a Peppino come al “Re”. Peppino è molto legato alla madre, e anche lei a lui, tanto che, quando il marito/padre va negli USA per chiedere aiuto ai parenti d’oltreoceano, lei trasgredirà la sua volontà riaccogliendo il figlio in casa.
Il fricchettone si pone in modo totalmente arrogante con Peppino: “Questi sono dettagli, la stoffa c’è!” “Un’esperienza come Radio Out può essere molto aiutata dalla nostra comune!”
La vicenda del rapimento Moro è stata inserita nel film sia perché direttamente connessa all’estrema sinistra e alle commistioni/collusioni tra servizi segreti italiani e americani, massoneria, ecc. Sia perché Peppino venne ucciso negli stessi giorni di Moro, probabilmente non per caso, ma per rendere l’evento irrilevante rispetto al contesto nazionale.
Il rapimento Moro equivalse, per il suo clamore, all’11 settembre, o all’omicidio Falcone.
La scena del bar: il meccanismo della criminalizzazione ed equiparazione tra i comunisti di Cinisi e le brigate rosse è analogo a quello odierno che accomuna tutti gli avversari dell’imperialismo USA ai talibani e ai terroristi. E’ il tipico meccanismo “patriottico” per cui chi non si schiera col proprio Paese, quale che sia, (anche quando invasore, mafioso, razzista, clericale, ecc.) è un traditore e un nemico.
La criminalizzazione (o anche psichiatrizzazione – in qualche modo presente col riferimento al suicidio) di chi si oppone al potere è un fenomeno comune, da sempre. Se poi il criminalizzato è pure morto, meglio, perché non può dire niente. Naturalmente il più delle volte è una cosa premeditata a tavolino (atto terroristico e poi addebitamento di crimini), ai livelli più disparati. Si pensi alla strage di Piazza Fontana, a Valpreda e Pinelli, a Sacco e Vanzetti, alle “psicosi revisioniste” sovietiche. Il regime nazista accusò e uccise un giovane socialista di avere incendiato il Reichstag, e lo assassinò, innocente, e con questa scusa instaurò formalmente la dittature e abolì ogni libertà d’espressione.
“Lui non c’entra” e “per i funerali è meglio che tu resti a casa” sono due tipici messaggi contraddittori in stile mafioso. Come già detto, la partecipazione a un funerale o no significa l’appoggio alla sua opera o il suo disconoscimento.
                            
Thank you for smoking

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